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Il sito è a cura del prof. Bernardo Croci, attualmente insegnante di filosofia presso il Liceo delle Scienze Umane Galilei di Firenze.

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Aristotele può essere considerato il formalizzatore della logica dell’epoca classica. In effetti egli compose almeno sei opere che hanno come oggetto l’analisi dei lógoi, tuttavia non è chiaro se Aristotele avesse intenzione o meno di fondare la logica come scienza, anzi sembra proprio che il suo intento fosse piuttosto legato a chiarire quali fossero i modi corretti attraverso i quali si dovessero legare i termini delle scienze ed in particolare la scienza dell’essere. Aristotele inoltre quando fa riferimento in modo specifico al procedimento mediante il quale una proposizione viene risolta nei suoi elementi, e in particolare nelle proposizioni dalle quali è deducibile usa il termine analitica e non Logica. Infine va ricordato che la logica non trova spazio nella classificazione aristotelica delle scienze e forse per questo tali scritti verranno raggruppati sotto il nome di Organon che significa appunto strumento, ma più che strumento di conoscenza probabilmente va inteso come strumento delle scienze. Gli scritti che vanno sotto il nome di Organon sono:

le Categorie, in cui vengono analizzati i termini presi singolarmente ed i loro generi sommi;

il De interpretatione che si occupa delle proposizioni dichiarative e degli enunciati, cioè delle frasi formate da soggetto, copula e predicato, che possono essere vere oppure false;

gli Analitici primi, che descrivono la forma generale del “sillogismo” corretto, ossia del ragionamento composto da due premesse e una conclusione;

gli Analitici secondi, che si concentrano nel distinguere il “sillogismo scientifico” o “dimostrativo”, cioè quel sillogismo che corretto e vero, perché fondato su principi e premesse corrette;

i Topici, in cui vengono analizzati i “sillogismi dialettici” o “probabili”, dove le premesse sono semplicemente opinioni largamente condivise dagli interlocutori;

le Confutazioni sofistiche, dove vengono analizzate quelle argomentazioni che, pur sembrando persuasive e convincenti, non sono in realtà corrette, ma soltanto illusorie.

Gli elementi basilari delle proposizioni sono i termini che Aristotele tratta nelle Categorie essi hanno sia valore logico sia valore ontologico da cui si evince il forte legame che vi è tra l’analisi condotto in queste opere e quella condotta nei libri di metafisica. Per Aristotele i nomi, intesi come le espressioni adeguate delle cose ovvero i concetti, corrispondano agli oggetti reali, come gli oggetti si imprimano nella mente è nella psicologia e viene trattato nel De Anima.

I suoni della voce sono simboli delle affezioni che hanno luogo nell’anima, e le lettere scritte sono simboli dei suoni della voce. Allo stesso modo poi che le lettere non sono le medesime per tutti, così neppure i suoni sono medesimi; tuttavia, suoni e lettere risultano segni, anzitutto, delle affezioni dell’anima, che sono le medesime per tutti e costituiscono le immagini degli oggetti, identici per tutti. (Aristotele, De interpretatione)

I concetti colti dalla mente sono sempre universali ovvero indicano le caratteristiche generali possedute da un insieme più o meno esteso di enti. Ogni insieme è dunque caratterizzato da un certo grado di estensione che ne determina il genere e un certo grado di intensione che ne determina la specie nel senso della differenza, più è ampia è l’estensione meno è il grado di intensione, ovvero più l’insieme che denota quel termine è ampio meno è precisa la comprensione degli enti che ne fanno parto, per esempio il genere animale ha una ampia estensione ma una minor intensione non senso che è un termine vago, l’uomo che indica appunto una specie ha un intensione, cioè una comprensione, maggiore, ma una estensione minore rispetto a quella di mammifero. Questa classificazione è necessaria per definire gli enti. Se per esempio vogliamo definire il termine “uomo”, dobbiamo individuare il “genere prossimo” in cui esso rientra, che è quello di “animale”, e poi vedere le “specifiche” che determinano il genere animale, finché trovo la “differenza” distintiva dell’uomo, che è il fatto di essere “razionale”. L’uomo è dunque “animale” (genere prossimo) “razionale” (specie).

Attraverso questo metodo Aristotele individua i generi sommi 10 grandi categorie (dal greco kategoría, predicato). Le categorie dell’essere sono le sue caratteristiche generali, cioè quelle presenti in ogni essere: la sostanza (che è il presupposto di tutte le altre), la quantità, la qualità, la relazione, l’agire, il subire, il dove, il quando, l’avere e il giacere.

I termini che si dicono senza alcuna connessione esprimono, caso per caso, o una sostanza, o una quantità, o una qualità, o una relazione, o un luogo, o un tempo, o l’essere in una situazione, o un avere, o un agire, o un patire. Per esprimerci concretamente, sostanza è, ad esempio, “uomo” o “cavallo”; quantità è “lunghezza di due cubiti”, “lunghezza di tre cubiti”; qualità è “bianco”, “grammatico”; relazione è “doppio”, “maggiore”; luogo è “nel Liceo”, “in piazza”; tempo è “ieri”, “l’anno scorso”; essere in una situazione è “si trova disteso”, “sta seduto”; avere è “porta le scarpe”, “si è armato”; agire è “tagliare”, “bruciare”; patire è “venir tagliato”, “venir bruciato”. (Aristotele, Categorie)

Nelle Categorie la sostanza è in primo luogo la “sostanza prima” o individuo (tòde ti, “questo qualcosa” o “la cosa singola”), per esempio l’individuo Socrate, questo tavolo, questa pianta, ecc.; è definita come “ciò che non è detto di un soggetto né è in un soggetto”, ed è distinta dalla “sostanza seconda”, cioè dai generi e dalle specie naturali come ad esempio animale, uomo, ecc. e è opposta alle proprietà accidentali che riguardano la qualità, la quantità, ecc.

Le categorie e i termini presi di per sé non esprimono verità o falsità, ma è la combinazione di essi che ci permette di affermare qualcosa a proposito della verità

Ciascuna delle cose che sono dette in sé e per sé [cioè ogni singolo termine o concetto] non costituisce nessuna affermazione, ma è nella connessione di queste cose tra loro che ha luogo l’affermazione. Infatti sembra che ogni affermazione sia o vera o falsa, ma delle cose che si dicono secondo nessuna connessione, nessuna né è vera né è falsa: ad esempio, “uomo”, “bianco”, “corre”, “vince”. (Aristotele, Categorie)

Dalla connessione dei termini nascono le proposizioni non tutte le proposizioni però esprimono verità o falsità, per esempio non la esprimono i comandi o le esortazioni, solo le proposizioni dichiarative o apofantiche danno origine ai giudizi, ovvero a delle affermazioni nella formula soggetto predicato di cui a senso dire che son veri o falsi.

Ogni discorso, dunque, è significate, come si è già detto, non già alla maniera di uno strumento naturale, ma per convenzione. Tuttavia non ogni discorso è dichiarativo (o “apofantico”), ma solo quello cui appartiene il vero o il falso; e ciò non appartiene a tutti i discorsi: la preghiera, per esempio, è discorso, ma non è né vero né falso. (Aristotele, De interprpretazione)

Le proposizioni dichiarative o apofantiche possono essere analizzate in base alla qualità e alla quantità in altre parole esse possono essere affermative o negative, universali o particolari.

La proposizione è dunque un discorso che afferma o nega qualcosa rispetto a qualcosa. Tale discorso, poi, è universale o particolare. [...] Con discorso universale intendo quello che esprime l'appartenenza ad ogni cosa o a nessuna cosa; con discorso particolare, intendo quello che esprime l'appartenenza a qualche cosa o la non appartenenza a qualche cosa. (Aristotele, Analitici primi)

Di conseguenza possono essere di quattro tipi: universali affermative, universali negative, particolari affermative, particolari negative.

A (adfirmo)

Affermativa Universale

Tutti gli S sono P

E (nego)

Negativa Universale

Nessun S è P

I (adfirmo)

Affermativa Particolare

Qualche S è P

O (nego)

Negativa Particolare

Qualche S non è P

A, I, E, O, sono le lettere che corrispondono rispettivamente alla prima e alla seconda vocale delle parole latine adfirmo e nego. Queste relazioni sono state raffigurate da Lucio Apuleio (125-180 d.C.) e Severino Boezio (480-526 d.C.) nel cosiddetto quadrato degli logico.

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Tra queste quattro forme proposizionali esistono alcune specifiche relazioni, scoperte da Aristotele e rappresentate nel quadrato. Le proposizioni universali sono tra loro contrarie perchè non possono essere entrambe vere, ma possono essere entrambe false. Le particolari tra loro risultano subcontrarie e possono essere entrambe vere, ma non entrambe false. L’incrocio tra universale affermativa o negative con la particolare opposta ovvero negative o affermativa risultano contraddittorie e non possono essere né entrambe vere né entrambe false. Le proposizioni particolari subalterne sono vere, secondo l’interpretazione di Aristotele benchè oggi considerate problematica, se sono vere le univesali da cui discendono, ovvero A implica I ed E implica O.

Aristotele prende poi in considerazione i rapporti modali, tema che in particolar modo riguarderà l'analisi degli eventi futuri. Aristotele si domanda come sia possibile analizzare due affermazioni che dicono rispettivamente "Domani ci sarà una battaglia navale" e "domani non ci sarà una battaglia navale" secondo Aristotele una di queste due proposizioni contraddittorie fra loro deve essere necessariamente vera, ma per Aristotele non è necessario né che domani ci sarà né che domani non ci sarà una battaglia navale qualunque sia l'alternativa ovvero che uno di questi due eventi possa essere considerato necessario, la necessità in altre parole risiede nell'impossibilità di uscire dalle alternative di una contraddizione e non dal verificarsi dell'uno o dell'altra di queste alternative. In questa interpretazione emerge chiaramente il primato che Aristotele assegna alla necessità nell'analisi modale, infatti, definisce la possibilità come non-impossibilità cioè come semplice negazione della necessità-negativa, in virtù di ciò egli affermerà che il necessario è possibile perché ciò che è necessariamente non deve essere impossibile. Questa riduzione del possibile a non-impossibile rappresenta anche il limite della logica modale di Aristotele. http://www.annaverdiamministrazionicondominiali.it/wp-content/uploads/2016/02/opliti-ter-film1.jpg

 Negli Analitici primi Aristotele passa ad analizzare il ragionamento ed in particolare le regole d’inferenza che permettono di ricavare delle conclusioni da delle premesse. Tra i diversi tipi d’inferenza troviamo i sillogismi: proposizioni che, se considerate una in relazione all'altra, generano necessariamente una determinata conclusione. Essi sono composta da una premessa maggiore, una minore, e una conclusione, attraverso cui è possibile formulare pensieri logicamente validi. La premessa è detta maggiore o minore in virtù della maggior estensione. Le due premesse sono collegate tra loro da un termine medio, che deve comparire sia nella premessa maggiore sia nella minore, ma non appare nella conclusione.

Quando tre termini stanno tra di essi in rapporti tali che il minore sia contenuto nella totalità del medio ed il medio sia contenuto, o non sia contenuto nella totalità del primo, è necessario che tra gli estremi sussista un sillogismo perfetto. Da un lato, chiamo medio il termine che tanto è contenuto esso stesso in un altro termine, quanto contiene in sé un altro termine, e che si presenta come medio anche per la posizione; d’altro lato chiamo estremi sia il termine che è contenuto esso stesso in un altro termine, sia il termine in cui un altro termine è contenuto. In effetti, se A si predica di ogni B, e se B si predica di ogni C, è necessario che A venga predicato di ogni C. Già prima, infatti, si è detto in che modo intendiamo il venir predicato di ogni oggetto. Similmente, poi, se A non si predica di nessun B, e se B si predica di ogni C, A non apparterrà a nessun C. (Aristotele, Analitici primi)

Un esempio classico di sillogismo è il seguente:

(premessa maggiore) Tutti gli uomini (termine medio) sono mortali (estremo maggiore)

(premessa minore) Tutti i greci (estremo minore) sono uomini (termine medio)

(conclusione) Tutti i greci (estremo minore) sono mortali (estremo maggiore)

La premessa maggiore collega due termini: l’estremo maggiore (P) e il termine medio (M). La premessa minore collega, invece, l’estremo minore (S) e il termine medio (M). Nella conclusione, infine, vengono congiunti estremo maggiore (P) ed estremo minore (S).

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Il termine medio può svolgere, in ciascuna premessa, il ruolo di soggetto o di predicato. A seconda della posizione occupata dai tre termini è possibile quindi distinguere quattro diverse “figure” sillogistiche, Aristotele ne tratto però solo tre perché considerava la quarta riconducibile alla prima. In particolare possiamo vedere che:

nel sillogismo di prima figura il termine medio è soggetto nella prima premessa e predicato nella seconda;
nel sillogismo di seconda figura il termine medio è predicato in entrambe le premesse;
nel sillogismo di terza figura il termine medio è soggetto in entrambe le premesse:
nel sillogismo di quarta figura il termine medio è predicato nella prima premessa e soggetto nella seconda.

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Le due premesse e la conclusione possono poi assumere quattro diverse forme: possono essere cioè universali affermative (A), universali negative (E), particolari affermative (I), oppure particolari negative (O). Esistono quindi, per ogni “figura”, 64 cioè 4x4x4 combinazioni possibili, che vengono chiamate “modi”. In totale ci sono quindi 256 (644) “modi” sillogistici, ma solo 24 di questi sono effettivamente validi.

Mentre la validità del sillogismo risiede nelle regole stesse del sillogismo, la sua verità dipende dalle premesse solo se le premesse sono vere si avrà la certezza della verità della conclusione tuttavia una conclusione corretta non è garanzia del fatto che le premesse siano corrette. Ne consegue che un sillogismo può anche essere corretto ma non essere vero.

Sarà necessario che la scienza dimostrativa si costituisca sulla base di premesse vere, prime, immediate, più note della conclusione, anteriori ad essa e che siano cause di essa. […] Un sillogismo potrebbe sussistere anche senza premesse di questo tipo, ma non sarebbe mai una dimostrazione. (Aristotele, Analitici secondi)

Da ciò si evince che il sillogismo di per sé non è sufficiente a costruire ragionamenti scientifici. Accanto all’inferenza deduttiva dunque va posta anche quella induttiva che poggia sull’esperienza, questo ci ricorda che per Aristotele la conoscenza non dipende dalle regole della logica, ma sempre dalla percezione e dall’intelletto. Il ragionamento deduttivo procede dall’universale verso il particolare come appunto fa il sillogismo Tutti gli uomini sono mortali, Socrate è un uomo, quindi Socrate è mortale, dove dall’osservazione che tutti gli uomini, universale, sono mortali si deduce che il singolo uomo Socrate è mortale, ma da dove ho dedotto che Tutti gli uomini sono mortali? Da un ragionamento induttivo ovvero dal fatto che ho sempre visto individui mortali perciò, passando dall’osservazione di tante situazioni particolari, ho ricavato la premessa universale tutti gli uomini sono mortali.

La deduzione parte da proposizioni universali, mentre l’induzione si fonda su proposizioni particolari; non è tuttavia possibile cogliere le proposizioni universali, se non attraverso linduzione (Aristotele., Analitici secondi)

Affinché sia possibile la scienza, intesa come concatenazione di ragionamenti coretti, è necessario che si individuino delle premesse o principi primi sui quali fondarla. I principi non potranno essere, a loro volta, dimostrati; se, infatti, venissero dimostrati, cioè dedotti a partire da altre proposizioni, non sarebbero più “principi primi”, ma delle semplici conclusioni. La conoscenza di questi principi non avviene in virtù della dimostrazione ma attraverso l’intuizione, cioè una visione intellettuale immediata e diretta della loro verità (come accade ad esempio con i principi logici comuni a tutte le scienze, oppure mediante l’induzione, che consente di raccogliere diverse osservazioni sensibili in un’unica proposizione universale. I principi comuni di ogni scienza sono colti tramite l’intuizione sono:

1) il principio di identità: ogni cosa è uguale a se stessa.

2) il principio di non contraddizione: non si può affermare e negare nello stesso soggetto nello stesso tempo e sotto lo stesso rapporto due predicati contraddittori.

3) il corollario, perché scaturisce dai due che precedono, del terzo escluso: non è possibile che ci sia un termine medio tra due contraddittori.

Diversamente come nell’esempio della proposizione tutti gli uomini sono mortali i principi delle singole scienze sono ricavati per induzione cioè grazie alla capacità astrattiva dell’intelletto, il che però presuppone che nel particolare sia dato l’universale il che rappresenta una delle questioni più dibattute nell’ambito del pensiero occidentale.

Oltre al sillogismo scientifico Aristotele definisce anche il sillogismo dialettico, quest'ultimo è basato non su premesse certe, ma soltanto su premesso probabili perché fondate sul confronto e sulla discussione tra le nostre intuizioni, quelle altrui e le opinioni autorevoli. Aristotele sottolinea il fatto che il sillogismo scientifico rappresenta un caso limite di ragionamento, perché nella pratica viene adottato in massima parte il sillogismo dialettico

Dialettici sono i sillogismi che concludono a partire da elementi fondati sull’opinione. […] Fondati sull’opinione sono gli elementi che appaiono accettabili a tutti, oppure alla grande maggioranza, oppure ai sapienti, e tra questi o a tutti, o alla grande maggioranza, o a quelli oltremodo noti e illustri. (Aristotele, Topici)

Aristotele tratta infine nelle Confutazioni sofistiche gli argomenti fallaci che vengono classificati in due gruppi: quelli che dipendono dal linguaggio e quelli che dipendono dal ragionamento stesso.

Equivocazione

Un primo tipo di fallacia espressiva è l’equivocazione, cioè l’attribuzione di differenti significati ad un medesimo termine.

Esempio: Tutto ciò che corre ha i piedi; il tempo corre, dunque il tempo ha i piedi.

Ambiguità sintattica o anfibolia)

L’ambiguità può riguardare non solo una singola parola, ma l’intera costruzione sintattica di una frase, come accade ad esempio con “desidero la prigione dei nemici”, in cui non è chiaro se si desidera essere prigionieri dei nemici oppure, al contrario, che i nemici divengano nostri prigionieri.

Esempio: Tutto ciò che è di Filolao è da lui posseduto; questo Libro è di Filolao, quindi questo libro è posseduto da Filolao.

Composizione

Si produce una fallacia di composizione quando si attribuisce al tutto o all’intero una proprietà che appartiene soltanto ad una sua parte oppure ad ogni elemento preso singolarmente.

Esempio: Poiché, come ben sappiamo, tutti gli uomini sono mortali, ne consegue che la razza umana necessariamente un giorno si estinguerà.

Divisione

E’ una fallacia speculare rispetto alla precedente. In questo caso le proprietà che appartengono al tutto sono attribuite, erroneamente, alla singola parte. Esempio: Quella sfera è blu, quindi gli atomi che la compongono sono blu.

Accento o enfasi

La fallacia di “accento” o “enfasi” si produce quando, sottolineando o evidenziando, celando o nascondendo un termine o una parte della frase, viene suggerita un’interpretazione diversa da quella letterale.

Esempio: tutti gli ateniesi vogliono la pace ma non sparta Sparta, quindi gli ateniesi devono fare la guerra

Sophisma figurae dictionis

La Figura dictionis è un errata inferenza grammaticale relativa al senso di un verbo o di una parola

Esempio: Ogni sostanza è buona. Il poeta è sostanza. Quindi è un buon poeta

-Nell’altro gruppo troviamo invece quelli fondati sulla per esempio sulla petitio principii

Petitio principii (petizione di principio)

Questa fallacia consiste nell’assumere tra le premesse (in modo esplicito o implicito) la tesi che si intende dimostrare. Così, però, non si dimostra un bel nulla, perché la tesi è già stata accolta come vera sin dall’inizio. Esempi: poiché non sto mentendo, sto dicendo la verità

 

 

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