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Il sito è a cura del prof. Bernardo Croci, attualmente insegnante di filosofia presso il Liceo delle Scienze Umane Galilei di Firenze.

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Durante il VI secolo i Persiani sottomisero buona parte dell’Asia Minore e gli abitanti di Focea decisero di migrare. I Focesi da principio si stabilirono in Corsica dove però entrarono in contrasto con Etruschi e Cartaginesi. Dopo alcuni scontri decisero di migrare nuovamente questa volta in Campania dove fondarono la città di Elea.

(https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/c/cf/Velia_Excavation_and_Tower.jpg/273px-Velia_Excavation_and_Tower.jpg)

 

 

Senofane e la nascita della scuola di Elea

La scuola di Elea mette al centro della sua analisi il fatto che l'essere, l'essenza delle cose è diverso da ciò che è percepito dai sensi e che la verità dell'essere può essere colta solo tramite la ragione e il pensiero. Il suo tradizionale fondatore e Senofane di Colofone; bandito dalla madre patria compi molti viaggi e scrisse poesie intramezzare da Riflessioni teologiche e filosofiche, pare che sia vissuto oltre novant’anni egli stesso ci dice che per 67 anni viaggio da un capo all’altro della Grecia. Non vi sono date certe sulla sua nascita e morte secondo quanto riporta Diogene fu contemporaneo di Anassimandro e si dedico a confutare le teoria di Talete e dei pitagorici, può essere pertanto collocato nel IV secolo a.c. Riguardo alla sua filosofia sappiamo che condusse una sferzante critica agli uomini che hanno umanizzato gli dei e la divinità ridicolizzandola.

Omero ed Esiodo hanno ascritto agli Dei tutto ciò che costituisce fra i mortali una vergogna è una disgrazia: ruberie, adulteri, reciproci inganni...

I mortali ritengono che gli dei siano stati generati come loro, abbiano vestiti come loro e voce e forma... Sì, e se i buoi e i cavalli e i leoni avessero le mani e dipingessero dipingerebbero opere d'arte come gli uomini, i cavalli dipingerebbero gli dei come i cavalli ed i buoi come i buoi, rappresenterebbero i loro corpi secondo i loro vari aspetti... gli Etiopi fanno il loro dei neri e con il naso schiacciato; i Traci dicono che il loro hanno occhi azzurri e capelli rossi.

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Secondo Senofane vi è una sola divinità che non assomiglia agli uomini e si identifica con l’unità dell’essere che non nasce e non muore ed è sempre lo stesso. Inoltre egli ammetteva l’esistenza di quattro elementi delle cose che sono, e mondi infiniti, ma immutabili (Diogene, Vite dei filosofi).

La sua tesi principale con cui si confrontarono gli altri esponenti della scuola di Elea è che

L’essenza di Dio è sferica e non ha alcuna analogia con l’uomo: dio tutt’intero vede, tutt’intero ascolta, ma tuttavia non respira: è tutt’insieme intelligenza, ragione, eternità. Senofane fu il primo che dimostrò che tutto ciò che diviene è corruttibile e che l’anima è un soffio vitale. Egli affermava che la molteplicità delle cose è subordinata all’intelligenza. (Diogene, Vite dei filosofi)

Parmenide

L'esponente che ha portato alla maturità la scuola eleatica è Parmenide (probabilmente nato intorno al 516-11 a.c.), molti lo considerano anche come l’effettivo fondatore della scuola, visto che le notizie su Senofane sono tutt’altro che certe. Tuttavia Parmenide riprese l’indirizzo di Senofane anche se non possiamo affermare che sia stato suo allievo, secondo Teofrasto fu allievo di Anassimandro. Egli produce un'opera in versi il poema sulla natura. In questo poema egli immagina di essere trasportato da un carro fino a un crocevia, che per i greci era rappresentato dalla Y, da una parte vi è il giorno dall'altra la notte.

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Lì fui portato. Infatti, la mi portarono accorte cavalle tirando il mio carro, e fanciulle indicavano la via. [...] La e la porta dei sentieri della notte e del giorno con ai due estremi un architrave e una soglia di pietra; e la porta, eretta nell'etere, è rinchiusa da grandi battenti.(Parmenide, Poema sulla natura, Fr.1)

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Vi sono dunque due sentieri uno porta alla verità (alétheia) l'altro ci porta invece sulla via dell'opinione (dóxa). La ragione ci porta a conoscere il vero e quindi ci conduce lungo il sentiero della verità. I sensi invece ci mostrano solo l'apparenza e pertanto ci conducano esclusivamente all'opinione.

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Disse la Dea a Parmenide:

Orbene, io ti dirò -e tu ascolta e ricevi la mia parola- quali sono le vie di ricerca che sole si possono pensare: l'una che "è" e che non è possibile che non sia- è il sentiero della Persuasione, perché tiene dietro alla verità - l'altra che "non è" e che è necessario che non sia. E io ti dico che questo è un sentiero su cui nulla si apprende. (Parmenide, Poema sulla natura, Fr.2)

La via della ragione, scrive Parmenide, ci dice che l'essere è e non può non essere, mentre il non essere non è e non può essere. Se si intende i semplicemente il concetto di essere come qualcosa che esiste non si riesce a cogliere la profondità del ragionamento di Parmenide. È evidente che al tempo di Parmenide non era chiara la distinzione tra le due principali accezioni del verbo essere, una appunto intesa come esistenza, l'altra intesa come copula, ovvero attribuzione di una qualità, spetti che chiarirà definitivamente solo Platone.

https://it.wikipedia.org/wiki/Alfabeto_greco

Parmenide diventa così anche il primo a fare un'analisi ontologica, essere in greco On. L’essere di cui parla Parmenide non è come l’arché dei milesi, ovvero una cosa da cui tutto proviene e a cui tutto torna, ma indica la verità incontrovertibile da cui dipendono tutte le altre. Il mondo che ci troviamo innanzi non è l’essere, ma il divenire, le cose in cambiamento: gli alberi, gli oggetti, le rocce, le creature…non sono l’essere, ma non essere, ovvero apparenza. Questo non significa che il non essere sia il nulla. Il ragionamento diventa più chiaro se si intende l'essere come “verità” e il “non essere” come falsità, infatti, Parmenide non sostiene che il non essere non esiste, ma semplicemente che non è l'essere. Da questo punto di vista le cose risultano già più chiare. L'essere è la verità, il non essere è la falsità ovvero le cose come appaiono ai sensi, che sono di per sé ingannatori.

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Nell'affermare tale tesi il filosofo di Elea esprime anche tre leggi fondamentali della logica classica: Il primo è la definizione della verità della negazione, infatti affermare il non essere non è l'essere significa affermare che c'è qualcosa che non è l'essere; Il secondo è il principio di identità affermare che l'essere è significa che ogni cosa è uguale a se stessa; il terzo, infine, è il principio di non contraddizione quando si afferma che il non essere non può allo stesso tempo essere e non essere si dichiara che una cosa non può allo stesso tempo avere o non avere una stessa proprietà.

Le caratteristiche dell'essere, ovvero della verità, risultano essere le seguenti: ingenerato, perché le verità sono tali e non si creano, sono le menzogne ad essere create; imperituro, perché una verità non può essere distrutta al massimo può essere nascosta; eterno, una verità rimane nel tempo al massimo può essere dimenticata; immutabile, la verità non può cambiare altrimenti non sarebbe tale; unico, perché la verità non può essere frammentata la sua validità è tale solo nel suo complesso; omogeneo, perché non può contenere al suo interno contraddizioni; finito, perché solo ciò che è finito ed è limitato e pertanto riconoscibile come verità ciò che è infinito e indeterminato e come tale non si può cogliere come verità.

Melisso

Melisso allievo di Parmenide è noto per aver sconfitto la flotta di Pericle nel 442 a.c. Egli tentò di dedurre rigorosamente gli attributi dell'essere come vero: egli afferma l'impossibilità di far nascere l'essere dal nulla; afferma anche la sua immutabilità e incorruttibilità infatti se mutasse anche solo di un capello la verità per quanto grande sarebbe falsata e quindi sparirebbe. Tuttavia difende la sua infinitezza perché ciò che non ha limite nello spazio e nel tempo non può essere finito, ovvero, la verità non può essere racchiusa, oggi diremo che la portata della verità non può essere sminuita. Dunque secondo Melisso l'essere è: ingenerabile, incorruttibile, immutabile, infinito, unico e incorporeo.

Zenone

Zenone di Elea è l’allievo più celebre di Parmenide in virtù delle sue argomentazioni (logoi). Sappiamo da Platone che egli era 25 anni più giovane del maestro pertanto, pertanto sarebbe nato intorno al 490 a.c.

Tra le testimonianze più maliziose c’è quella di Diogene Laerzio che lo definisce uditore di Parmenide ma anche amasio, ovvero suo amante (https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/f/f0/SuitHearts.svg/220px-SuitHearts.svg.png). Secondo diverse testimonianze si impegno politicamente ad Elea e forse fu ucciso per aver cercato di contrastare il Tiranno Nearco (o Diomedonte). Troviamo citato Zenone, e alcuni dei suoi argomenti, nel dialogo platonico Il Parmenide, dove con il suo maestro intrattiene una complessa discussione con un giovane Socrate, ma con molta probabilità si tratta di una finzione letteraria di Platone e Zenone potrebbe non essersi mai recato ad Atene.

Secondo Aristotele Zenone fu l’ideatore dell’arte della dialettica intesa come contesa. Gli si attribuisce il merito di aver usato, nelle sue argomentazioni, due principi importantissimi per l’arte della dimostrazione: la reductio ad absurdum, per dimostrare una tesi si afferma il suo contrario e si procede nel ragionamento fino a che non si giunge ad una contraddizione che invalida il ragionamento e rende così vero per esclusione la tesi iniziale, https://tessere.org/wp-content/uploads/2019/09/contraddizioni-2.jpg  e il regressus ad infininitum posta una tesi si procede nella sua dimostrazione e si fa notare che è  impossibile giungere ad una conclusione in un numero finito di passaggi da cui consegue l’impossibilità della dimostrazione stessa. http://4.bp.blogspot.com/-fY2whkordEo/Tbw5wMkFd1I/AAAAAAAAB1Y/1IRV7AkXQd8/s1600/escalier_infini.jpg

 

Gli argomenti proposti da Zenone hanno come scopo principale quello di difendere la tesi del maestro. Parmenide, infatti, con la sua riflessione sull’essere giungeva a negare che l’apparire delle cose che ci circondano possano avere una qualche validità. I suoi avversari cercavano di smentire le sue osservazioni sull’unicità dell’essere facendo riferimento all’opinione e cercando di far vedere le conseguenze paradossali delle tesi parmenidee. Zenone a sua volta vuole con i suoi argomenti dimostrare che proprio seguendo le opinioni e la doxa si giunge a paradossi ancora maggiori di quelli che apparentemente scaturiscono dal pensiero Eleatico, e pertanto l’unica possibilità è dare ragione a Parmenide e negare che la verità e l’essere si ritrovino in modo immediato nella physis come si mostra ai sensi e che di quest’ultima si possa fare una scienza che dice il vero.

Gli argomenti di Zenone, che affermano tutti che sostenere la validità dei dati empirici come noi li percepiamo nell’immediato porta a contraddizione https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcQ5dT2g10lfYuQCux9SaL-K9WWUljdO6o655eUs3HZwX3Sm-wVy6w , possono essere suddivisi in due gruppi: sul molteplice e sul movimento.

Tra quelli riguardanti il molteplice, in particolare, Zenone afferma che se le cose sono molte, non possono essere meno di quante sono, ma se sono tali allora sono infinite, infatti in mezzo a queste ve ne sono sempre altre regressus ad infininitum: le cose sarebbe al contempo finite (non più di quante sono) e infinite (essendocene sempre altre in mezzo, infatti, non sono numerabili quindi sono infinite). Inoltre il molteplice, ovvero la realtà visibile, è composta da parti, ma ogni parte è infinitamente divisibile quindi ogni cosa è al contempo finita perché composta solo da le parti che la compongono e infinita perché contiene in se infinite parti il che è contradditorio. Inoltre se tutto è nello spazio, vi sarà pure uno spazio che contiene lo spazio e ancora uno spazio per quello spazio e così via all’infinito. Infine se un chicco di riso cadendo non produce rumore, nemmeno un mucchi di riso dovrebbe produrne perché la somma di tanti silenzi non dovrebbe produrre rumore. http://www.baby-flash.com/wordpress/wp-content/uploads/2016/12/silenzio.jpg

Per quanto riguarda il movimento vengono prevalentemente trattati quattro argomenti. Il primo è quello della dicotomia, ovvero è impossibile partire infatti un oggetto per andare da un punto A ad uno B, prima deve andare nel punto A’ intermedio tra i due, e prima al punto A’’ intermedio tra A e A’, e poi A’’ intermedio tra A e A’’ e così via…. http://nextews.com/images/d6/ca/d6ca846270140e9f.jpg

Il secondo è quello più celebre, ovvero quello della famosa gara tra Achille e la tartaruga https://www.focus.it/site_stored/imgs/0004/049/achille-tartaruga.630x360.jpg 

Ipotizzando che Achille conceda alla tartaruga una qualche lunghezza di vantaggio egli, prima di raggiungere la tartaruga, dovrà coprire tale distanza, ma nel mentre la tartaruga (per quanto lenta) sarà avanzata di una certa lunghezza, dunque Achille sarà costretto a coprire anche tale distanza, ma nel mentre la tartaruga (per quanto lenta) sarà avanzata di una piccola lunghezza, dunque Achille sarà costretto a coprire tale distanza, e così via… http://progettomatematica.dm.unibo.it/Infinito/pag1/achtart.jpg

http://progettomatematica.dm.unibo.it/Achille/AeTgra.GIF

Il terzo argomento riguarda un arciere che scaglia una freccia. Se ci si domanda come appare in un singolo istante la freccia (oggi diremmo in singolo fotogramma)? La risposta è ferma, quindi come è possibile che, per così dire, tante fermezze diano il movimento? (oggi esiste la risposta è il così detto “fenomeno psi” o stroboscopico, nonché del moto apparente del cinematografo descritto dalla scuola gestaltica in psicologia della percezione) https://www.youmath.it/images/stories/AAArisposte/17-18/paradosso-della-freccia.png

Infine vi è l’argomento delle masse, se un corpo si muove rispetto ad un punto fermo avrà una certa velocità, mettiamo di 80km/h ma se tale corpo viene osservato da un altro corpo che gli va incontro ha 80 km/h allora il primo andrà a 160 km/h, ora come è possibile che il primo corpo muova al contempo a 80 e a 160 km/h? https://ivanmacella.com/wp-content/uploads/2015/09/Urto-frontale-tra-due-auto.jpg

La conclusione di Zenone è che né il molteplice né il movimento possono essere oggetto di scienza, e quindi entrambe non conducono alla verità. La verità come diceva Parmenide va cercata nell’essere che non si trova nella physis come si mostra ai sensi. Questi argomenti saranno superati dallo sviluppo della fisica e della matematica, ma a Zenone rimarrà il merito di aver posto il problema della infinita divisibilità delle grandezze fisiche (B. Russell, Principia mathematica).

 

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