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Essenza e esistenza

Una delle prime opere di Tommaso è L’ente e l’essenza (1255 circa) nella quale egli si propone di dare una definizione di ente ed essenza che sono le prime nozioni conosciute dal nostro intelletto. L’ente può essere inteso in due modi: come l’oggetto di una proposizione logica https://politicaematematica.files.wordpress.com/2013/12/immagine.jpg oppure come l’ente reale che si divide nei dieci predicamenti ossia nelle dieci categorie aristotelichehttps://d1ys487h6fvpnd.cloudfront.net/immagini/1500/1500px-animal_diversity_october_2007.jpg. Solo quest’ultimo possiede un’essenza. L’essenza indica per Tommaso ciò che fa essere ogni cosa quella determinata cosa e non un’altra https://2.bp.blogspot.com/-3NJ-Wrt0H3M/Vq0nS79Gz3I/AAAAAAAAfAE/YJWL4sfmuLk/s1600/esseri-viventi.jpg. Senza l’essenza noi non potremmo conoscere gli enti. Tommaso analizza anche che cos’è l’essenza in rapporto alle sostanza composte e alle sostanze semplice. Nelle sostanze composte l’essenza coincide con l’unione di materia e forma https://d3swacfcujrr1g.cloudfront.net/img/uploads/2000/01/013302098669.jpg; nelle sostanze semplici invece coincide solo con la forma dato che in esse la materia è assente https://www.lalucedimaria.it/wp-content/uploads/2016/01/Cori-Angelici.jpg. Il problema, a questo punto, è capire cosa distingue l’essenza degli angeli e delle anime da quella di Dio dato che si tratta sempre di sostanze semplici e quindi la distinzione non può darsi in virtù della materia. Per questo scopo Tommaso inserisce la distinzione tra essere ed essenza: l’essere non coincide con l’essenza perché io posso pensare un concetto adeguato all’essenza di una cosa senza che essa esista.

Tutto ciò, infatti, che non è compreso nel concetto di una essenza o quiddità le si aggiunge dal di fuori e si compone con l’essenza stessa […]. Ora ogni essenza o quiddità può essere concepita senza che si sappia se esiste o non esiste; posso, infatti, intendere cos’è l’uomo o che cosa è la fenice e tuttavia ignorare se esistano o non esistano realmente. Dunque è chiaro che l’essere è distinto dall’essenza o quiddità, salvo che per un ente la cui essenza sia il suo stesso essere. (Tommaso d’Aquino, De ente et essentia, cap. 4)

Tommaso sottolinea che esiste un ente in cui essenza ed essere coincidono, e che tale ente sia unico perché, essendo solo essere, non può moltiplicarsi, altrimenti diventerebbe “essere più qualcos’altro” ovvero una forma specifica. Questo ente in cui essere ed essenza coincidono è identificato da Tommaso con la Causa Prima ossia Dio https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/7/7c/Cima_da_Conegliano%2C_God_the_Father.jpg/300px-Cima_da_Conegliano%2C_God_the_Father.jpg. Per questo motivo, solo Dio è un ente necessario mentre tutti gli altri enti, compresi gli angeli, sono contingenti, cioè in un certo modo, ma avrebbero potuto essere altrimenti o non essere affatto. L’essenza precede l’esistenza negli enti naturali, solo in Dio essenza ed esistenza coincidono, per il resto del creato il rapporto che c’è tra essenza ed esistenza è speculare a quello che c’è la potenza e l’atto di aristotelica memoria. È Dio che con la sua attività creatrice trasforma le essenze che sono in potenza in enti esistenti cioè in atto. Infatti, siccome ogni ente costituito da essere ed essenza riceve il suo essere da altro (poiché solo in Dio l’essere è identificato con l’essenza), non si può procedere all’infinito ma dovrà esserci una Causa Prima - in cui essere ed essenza coincidono - la quale dona l’esistenza a tutti gli altri enti, compreso le sostanze semplici come l’anima e gli angeli. Di conseguenza l’essenza coincide nelle sostanze composte con l’unione di materia e forma, nelle sostanze semplici con la forma e in Dio con l’essere. La distinzione tra essenza ed esistenza è fondamentale per poter accordare l’aristotelismo al cristianesimo, esso infatti rende indispensabile la creazione da parte di Dio. https://slideplayer.it/slide/2933757/10/images/10/Tommaso+d%E2%80%99Aquino%3A+la+metafisica+dell%E2%80%99essere.jpg

Le cinque vie per dimostrare l’esistenza di Dio

Tra i compiti della teologia razionale vi è quello di dimostrare razionalmente l’esistenza di Dio. Secondo Tommaso anche se Dio è primo nell’ordine dell’essere non lo è nella conoscenza umana e pertanto va dimostrato, la dimostrazione deve partire da ciò che a noi è più prossimo cioè dall’esperienza sensibile o meglio dalla creazione, cioè il mondo. Tommaso lo fa attraverso «cinque vie» che partono dall’esperienza del mondo per risalire alla sua causa. Infatti, non essendo possibile per noi conoscere l’essenza di Dio, non possiamo dimostrare la Sua esistenza a partire dalla Sua essenza (dimostrazione a priori); al contrario, si ha necessità di dimostrare l’esistenza di Dio a partire da ciò che è noto per noi, ossia dall’osservazione di qualche effetto sensibile: si tratta quindi di cinque dimostrazioni a posteriori.

1. La prima via parte dall’osservazione del movimento ex motu: tutto ciò che si muove è mosso da qualcosa, ma nell’individuazione dei motori bisogna logicamente fermarsi a una prima causa del movimento, come del resto aveva dimostrato Aristotele. Infatti, se esistesse una catena infinita di motori che ricevono il moto da altri motori, essi sarebbero tutti motori in potenza e non vi sarebbe alcun movimento in atto https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/c/c2/Giovanni_di_paolo%2C_creazione_del_mondo_ed_espulsione_dal_paradiso_terrestre_02.JPG/580px-Giovanni_di_paolo%2C_creazione_del_mondo_ed_espulsione_dal_paradiso_terrestre_02.JPG.

La prima e la più evidente è quella che si desume dal moto. È certo infatti e consta dai sensi, che in questo mondo alcune cose si muovono. Ora, tutto ciò che si muove è mosso da un altro. […]Perché muovere non altro significa che trarre qualche cosa dalla potenza all’atto; e niente può essere ridotto dalla potenza all’atto se non mediante un essere che è già in atto. […] È dunque impossibile che sotto il medesimo aspetto una cosa sia al tempo stesso movente e mossa, cioè che muova se stessa. È dunque necessario che tutto ciò che si muove sia mosso da un altro. Se dunque l’essere che muove è anch’esso soggetto in movimento, bisogna che sia mosso da un altro, e questo da un terzo e così via. Ora, non si può in tal modo procedere all’infinito, perché altrimenti non vi sarebbe un primo motore, e di conseguenza nessun altro motore, perché i motori intermedi non muovono se non in quanto sono mossi dal primo motore, come il bastone non muove se non in quanto è mosso dalla mano. Dunque è necessario arrivare ad un primo motore che non sia mosso da altri; e tutti riconoscono che esso è Dio

2. La seconda via parte dalla considerazione che ogni cosa è effetto di una causa ex causa. In modo analogo alla prova precedente, non può esistere una catena infinita di cause, ma bisogna logicamente che esista una causa prima, incausata, che chiamiamo Dio https://sites.google.com/site/gb69filo/_/rsrc/1385574091508/home/la-filosofia-antica/aristotele/il-divenire/causa-prima.jpg.

La seconda via parte dalla nozione di causa efficiente. Troviamo nel mondo sensibile che vi è un ordine tra le cause efficienti, ma non si trova, ed è impossibile, che una cosa sia causa efficiente di se medesima; ché altrimenti sarebbe prima di se stessa, cosa inconcepibile. Ora, un processo all’infinito nelle cause efficienti è assurdo. Perché in tutte le cause efficienti concatenate la prima è causa dell’intermedia, e l’intermedia è causa dell’ultima, siano molte le intermedie o una sola; ora, eliminata la causa è tolto anche l’effetto: se dunque nell’ordine delle cause efficienti non vi fosse una prima causa, non vi sarebbe neppure l’ultima, né l’intermedia. Ma procedere all’infinito nelle cause efficienti equivale ad eliminare la prima causa efficiente; e così non avremo neppure l’effetto ultimo, né le cause intermedie: ciò che evidentemente è falso. Dunque bisogna ammettere una prima causa efficiente, che tutti chiamano Dio

3. La terza via si fonda sulla necessità e sulla contingenza ex contingentia mundi. Tutti gli enti sono contingenti ovvero possono essere o non essere. Ma se tutto fosse contingente ci sarebbe stato un momento in cui non sarebbe esistito nulla e quindi anche ora non ci sarebbe nulla perché non si può creare qualcosa dal nulla ma solo da qualcos’altro che già esiste. Per questo quindi bisogna ammettere che esiste un ente necessario che permette agli enti contingenti di venire ad esistere e questo ente lo chiamiamo Dio https://www.fisicaquantistica.it/wordpress/wp-content/uploads/2016/10/In-Principio-era-il-verbo-600x441.jpg.

La terza via è presa dal possibile (o contingente) e dal necessario, ed è questa. Tra le cose noi ne troviamo di quelle che possono essere e non essere; infatti alcune cose nascono e finiscono, il che vuol dire che possono essere e non essere. Ora, è impossibile che tutte le cose di tal natura siano sempre state, perché ciò che può non essere, un tempo non esisteva. Se dunque tutte le cose possono non esistere, in un dato momento niente ci fu nella realtà. Ma se questo è vero, anche ora non esisterebbe niente, perché ciò che non esiste, non comincia ad esistere se non per qualche cosa che è. Dunque, se non c’era ente alcuno, è impossibile che qualche cosa cominciasse ad esistere, e così anche ora non ci sarebbe niente, il che è evidentemente falso. Dunque non tutti gli esseri sono contingenti, ma bisogna che nella realtà vi sia qualche cosa di necessario. Ora, tutto ciò che è necessario, o ha la causa della sua necessità in altro essere oppure no. D’altra parte, negli enti necessari che hanno altrove la causa della loro necessità, non si può procedere all’infinito, come neppure nelle cause efficienti secondo che si è dimostrato. Dunque bisogna concludere all’esistenza di un essere che sia di per sé necessario, e non tragga da altri la propria necessità, ma sia causa di necessità agli altri. E questo tutti dicono Dio

4. La quarta via procede dai gradi di perfezione che si trovano nelle cose ex gradu. Noi vediamo che gli oggetti sono più o meno perfetti ma queste differenze possono essere stabilite solo in riferimento a un ente sommamente perfetto che chiamiamo Diohttps://static.ohga.it/wp-content/uploads/sites/24/2019/03/Temperatura-22-gradi.jpg.

La quarta via si prende dai gradi che si riscontrano nelle cose. È un fatto che nelle cose si trova il bene, il vero, il nobile e altre simili perfezioni in un grado maggiore o minore. Ma il grado maggiore o minore si attribuisce alle diverse cose secondo che esse si accostano di più o di meno ad alcunché di sommo e di assoluto; così più caldo è ciò che maggiormente si accosta al sommamente caldo. Vi è dunque un qualche cosa che è vero al sommo, ottimo e nobilissimo, e di conseguenza qualche cosa che è il supremo ente; perché, come dice Aristotele, ciò che è massimo in quanto vero, è tale anche in quanto ente. Ora, ciò che è massimo in un dato genere, è causa di tutti gli appartenenti a quel genere, come il fuoco, caldo al massimo, è cagione di ogni calore, come dice il medesimo Aristotele. Dunque vi è qualche cosa che per tutti gli enti è causa dell’essere, della bontà e di qualsiasi perfezione. E questo chiamiamo Dio

5. La quinta via si fonda sulla finalità a cui tendono gli enti ex fine. Tutti gli enti tendono a un fine, anche quelli inanimati, e per questo bisogna ammettere l’esistenza di un ente dotato di intelligenza che guida tali enti ad un fine. E questo è quello che chiamiamo Dio https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn%3AANd9GcTgbPqqbBZzqDW1P1LwkK40ylTsfiKeE3xx7iMjnzyE58pKQsPc.

La quinta via si desume dal governo delle cose. Noi vediamo che alcune cose, le quali sono prive di conoscenza, cioè i corpi fisici, operano per un fine, come appare dal fatto che esse operano sempre o quasi sempre allo stesso modo per conseguire la perfezione: donde appare che non a caso, ma per una predisposizione raggiungono il loro fine. Ora, ciò che è privo d’intelligenza non tende al fine se non perché è diretto da un essere conoscitivo e intelligente, come la freccia dall’arciere. Vi è dunque un qualche essere intelligente, dal quale tutte le cose naturali sono ordinate a un fine: e quest’essere chiamiamo Dio

http://www.aiutodislessia.net/wordpress/wp-content/gallery/filosofia-tommaso-4-liceo/02.-LE-5-VIE-PER-ARRIVARE-A-DIO.png

L’analogia entis

Abbiamo dimostrato razionalmente l’esistenza di Dio. Tommaso ritiene che la ragione può dire qualcosa anche sulla natura di Dio ma solo se si considera la possibilità del linguaggio di definire le cose per analogia. Tra l’essere di Dio e l’essere delle creature è presente un rapporto di analogia (analogia entis) perché gli enti possiedono una qualche caratteristica della causa che li ha creati. Da ciò consegue che il significato di essere non è univoco né equivoco. Quando diciamo «Dio è», predichiamo l’essere di Dio; quando diciamo «le creature sono», predichiamo l’essere delle creature. Benché l’essere di Dio sia diverso dall’essere delle creature, ne predichiamo l’essere in modo analogo perché è Dio che conferisce l’essere alle creature. L’essere è il primo attributo generale che riguarda l’ente in quanto tale e che può essere predicato di tutti gli enti, compreso Dio.

Nella dottrina dell’analogia entis, Tommaso inserisce anche la teoria dei trascendentali. Gli attributi generali di tutti gli enti sono chiamati da Tommaso «trascendentali» poiché trascendono le caratteristiche degli enti espresse dalle dieci categorie. Oltre all’ens (essere) sono trascendentali anche la res (cosa), l’unum (uno), l’aliquid (qualcosa), il verum (vero), il bonum (buono), il pulchrum (bello). Ogni ente è una cosa determinata, è uno e identico a se stesso, è distinto dagli altri enti, è conoscibile, realizza la propria forma, è bello e desiderabile. Le creature hanno ricevuto l’essere da Dio, quindi tutti i trascendentali presenti nelle creature ci dicono qualcosa delle caratteristiche di Dio. https://slideplayer.it/slide/2933757/10/images/9/L%E2%80%99essere+qualcosa+di+specifico.jpg

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