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Il sito è a cura del prof. Bernardo Croci, attualmente insegnante di filosofia presso il Liceo delle Scienze Umane Galilei di Firenze.

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David Hume è uno dei filosofi più importanti perché sviluppò fino alla sua conclusione logica la filosofia empiristica di Locke di Berkeley e, rendendola coerente, la rese al tempo stesso incredibile. Rappresenta, in un certo senso, un termine estremo: in quella direzione è impossibile andare oltre. Confutarlo è stato da quando Hume ha pubblicato i suoi scritti, il passatempo preferito dei metafisici. Per parte mia, non trovo convincente nessuna delle loro confutazioni; nondimeno, non posso sperare altro se non che si scopra qualcosa di meno scettico del sistema di Hume. (Russell, Storia della filosofia Occidentale)

David Hume nasce nel 1711 ad Edimburgo, in Scozia. https://www.doveclub.it/wp-content/uploads/2017/09/edimburgo.jpg Rimasto orfano di padre, asseconda inizialmente le pressioni familiari che lo orientano verso gli studi giuridici, tuttavia  dopo aver assistito ai corsi sulla filosofia newtoniana ed aver partecipato al dibattito sulle teorie di Locke e Berkeley si indirizzo verso quella che egli stesso defì “una nuova scena del pensiero”.

Hume, oltre ad essere il punto più estremo dell’empirismo come notato da Russell, è anche il maggior rappresentate dell’Illuminismo scozzese. https://images-na.ssl-images-amazon.com/images/I/61BbCmQFbKL._SX466_.jpg Per Hume risultano particolarmente stimolanti le problematiche inerenti la natura dell’uomo e i fondamenti della morale, rilanciate in quegli anni dagli scritti di Francis Hutcheson (1694-1746).

Dopo aver superato un periodo di depressione decise di recarsi in Francia dove rimase per 3 anni, ivi raccolse il materiale e scrisse i primi appunti per la stesura del Trattato sulla natura umana, stampato poi al rientro in Inghilterra in tre libri: i primi due, dedicati all’analisi dell’intelletto e delle passioni umane, pubblicati nel 1739, ed il terzo libro, sulla morale, pubblicato nel 1740. Quest'opera ebbe però da principio scarso successo.

Deciso a divulgare le sue idee pensò di rielaborare alcuni temi nell’opera Saggi filosofici sull’intelletto umano del 1748, ma nemmeno questa volta raccolse l’attenzione dei contemporanei. Diversamente col tempo furno trovati interessanti i Saggi morali e politici, pubblicati qualche anno prima nel 1741.

Dopo aver visto respingere per ben due volte la sua candidatura alla cattedra di etica dell’Università di Edimburgo, nel 1752 Hume è nominato Conservatore della Biblioteca di Edimburgo e comincia la stesura della Storia dell’Inghilterra, che porterà a termine dieci anni più tardi nel 1761 e che gli darà finalmente la fama e ricchezza perseguita. https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/e/e4/Playfair_Library%2C_Edinburgh_University_-_geograph.org.uk_-_1518621.jpg/330px-Playfair_Library%2C_Edinburgh_University_-_geograph.org.uk_-_1518621.jpg. Dal 1763 al 1766 Hume è inviato in Francia come segretario dell’ambasciatore inglese a Parigi. Lì entrò in contatto con i principali philosophes con cui strinse feconde amicizie, tranne che con Rousseau con il quale ebbe invece un acceso litigio (probabilmente a causa del carattere estroso del filosofo ginevrino). Dopo aver fatto parte del governo inglese tra il 1767 e il 1768 si ritirò in Scozia nella città natale di Edimburgo; passerà gli ultimi anni della sua vita a combattere contro una lunga malattia, trovando la morte il 26 agosto del 1776.

L'obiettivo di Hume era quello di diventare in qualche modo il Newton delle Scienze dell'uomo https://image3.slideserve.com/5641656/the-gold-standard-n.jpg. Egli affermava la necessità di applicare all'essere e ai fenomeni umani quelle forze dinamiche che Newton aveva colto e descritto nel mondo naturale, perché anche il mondo dell'uomo possiede una grande regolarità e ubbidisce a determinate leggi. Tutta la filosofia di Hume è dunque improntata a uno studio sistematico della natura umana condotto sulla base dei dati osservativi, tenendo conto dei limiti imposti dal metodo sperimentale delineato da Newton e riassumibile nel motto Hypotheses non fingo: un invito a non ipotizzare spiegazioni non derivate dall’esperienza e non suffragate da esperimenti. https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcTsKL50eaj6QkvvXGQAV_fgEKqCfz9_uy10xfQRTn3gwnaW4X1Q&s

Non c’è questione di qualche importanza la cui soluzione non sia compresa nella scienza dell’uomo, e non c’è nessuna che possa essere risolta con certezza se prima non ci rendiamo padroni di quella scienza. (Hume, Trattato sulla natura umana)         

I contenuti della mente

L'opera più importante di David Hume è il Trattato sulla natura umana. In questa opera Hume conduce una critica sfrenata alla metafisica, completando l'opera di Locke. Come egli scrive nelle Ricerche sull'intelletto umano vuole, partendo dall’empirismo sperimentalistico, confutare le tesi razionalistiche che andando al di là dell'esperienza producono dogmi metafisici. Il Trattato sulla natura umana si apre con lo studio sull’intelletto dell’uomo, la cui attività consiste nell’avere percezioni. https://thumbs.dreamstime.com/b/percezioni-all-interno-della-mente-umana-immaginate-come-di-parole-una-testa-con-delle-ruote-dentate-per-simboleggiare-che-la-190533372.jpg

Per percezione Hume intende qualsiasi contenuto di pensiero, pertanto una teoria della conoscenza deve basarsi necessariamente sulle percezioni. Egli distingue due tipi di percezioni le impressioni e le idee:

possiamo dunque dividere tutte le percezioni della mente in due classi o specie, che sono distinte dai loro gradi di forza e vivacità. le meno potenti e vivide sono comunemente denominate pensieri o idee. L'altra specie [...] chiamiamo le impressioni, usando questa parola in un senso un po' diverso da quello consueto. Col termine impressione dunque intendo tutte le nostre percezioni più vivide, quando udiamo, o vediamo, o sentiamo, o amiamo, o odiamo, o desideriamo, o vogliamo. (Hume,Ricerche sull’intelletto umano)        

1)Le impressioni sono quelle che si avvertono, per così dire, nel qui e nell'ora, sono attuali ed esprimono il vigore massimo attraverso il quale assimiliamo l’esperienza diretta. Per esempio è un’impressione la sensazione attuale di calore che provo passando la mano sul fuoco, oppure la sensazione di sazietà che provo mentre sto mangiando, ancora il senso di piacere o di dolore che si associano ad un accadimento.https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcQvos057nGRHyrqmZJZu2LhhV7JPZqFyA4GNm2R5Zu-4jlhRamI&s

2)Le idee invece le abbiamo quando le immagini vivide delle impressioni svaniscono. Pertanto esse sono “immagini illanguidite” delle impressioni, sono percezioni non attuali nei sensi ma mostrano il residuo e il ricordo che abbiamo di un’impressione. https://image.spreadshirtmedia.net/image-server/v1/mp/compositions/T812A2MPA3811PT17X97Y65D161892951FS3588/views/1,width=550,height=550,appearanceId=2,backgroundColor=000000,noPt=true,version=1564652308/fuoco-fiamma-fuoco-regalo-fuoco-foro-idea-calda-maglietta-premium-uomo.jpg

Essendo le idee immagini illanguidite delle impressioni, esse stesse derivano dall'esperienza. Tra le impressioni e le idee c'è per Hume un legame necessario, infatti solo dalle impressioni si generano idee e non esistono pertanto idee innate come voleva Cartesio.

A questo punto Hume si pone il problema dell'esistenza di idee che non hanno un diretto rispecchiamento con la realtà, egli sostiene che noi possiamo fare delle associazioni sovrapponendo delle immagini reali creandone così altre del tutto fantastiche. https://1.bp.blogspot.com/-cKeAIE5nvXE/VVj8HReMzKI/AAAAAAAAB6c/u9m7UnSS8Xk/s1600/pegaso.jpg Hume sottolinea che un conto è parlare della verità dell'immagine un conto è parlare del senso, perché indipendentemente dalla verità di un'immagine questa continua ad avere un senso quindi il senso non presuppone la reale esistenza.

Riprendendo la classificazione di Locke, Hume distingue tra percezioni semplici e percezioni complesse, queste ultime sono combinazioni di più percezioni semplici. Tuttavia a, differenza di Locke, Hume afferma che nella formazione delle percezioni complesse l’intelletto umano non agisce volontariamente, ma sospinto da un processo associativo involontario. Le facoltà associative dell’Intelletto sono la memoria e l’immaginazione: mentre la memoria riproporre la forma originaria con cui le impressioni si sono presentate; l’immaginazione combina invece percezioni diverse sulla base di alcune relazioni, quali la somiglianza, la contiguità nel tempo e nello spazio e causa ed effetto.https://i2.wp.com/gabriellagiudici.it/wp-content/uploads/2017/09/Percezioni-3.png?resize=940%2C544&ssl=1

Hume analizza da vicino le caratteristiche dell’immaginazione, dando ragione dei tre principi che la governano:

1) la somiglianza agisce quando per esempio un ritratto di una persona ti fa ricordare l'originale, cioè riporta l'idea a contatto con l'oggetto che rappresenta. Oppure quando vedo un oggetto e gli attribuisco un idea di un altro oggetto simile di cui ho avuto un'impressione in precedenza.

2) la contiguità spazio-temporale ci permette di considerare luoghi e oggetti collegati tra loro per esempio  se ci ricordiamo di una stanza all'interno di una casa ci vengono automaticamente in mente che essa sta in edificio e che contiene degli oggetti, e collochiamo il ricordo di quella stanza con ciò che abbiamo fatto prima e ciò che abbiamo fatto dopo. Ancora se pensiamo ad un monumento come il Colosseo immeditamente pensiamo alla città di Roma e all'epoca dell'Impero romano.

3) la relazione causa-effetto sorge dal mettere in relazione due eventi che si presentano contigui per esempio la vista di una ferita ci fa mettere il dolore che si prova in relazione ad essa. Ancora il fumo che si alza da una collina ci fa pensare immediatamente che ci sia un incendio. https://i0.wp.com/gabriellagiudici.it/wp-content/uploads/2017/09/principio_dassociazione-1.png?resize=940%2C414&ssl=1

L’associazione tra idee compiuta dall’immaginazione rappresenta un principio originario della natura umana, ed è identificato in «una specie di attrazione», la cui funzione è equiparata da Hume a quella svolta dalla gravitazione universale newtoniana. https://www.chimica-online.it/fisica/immagini/forza-gravitazionale.jpg In base al motto newtoniano di «non fingere ipotesi» Hume si limita a constatare l’azione del principio associativo sulle idee senza avanzare alcuna ipotesi sulla sua origine sia essa basata sulla struttura dell’intelletto o sulla realtà delle cose:

Vi è qui una specie di attrazione, la quale, come si vedrà, si trova ad avere nel mondo mentale, non meno che in quello naturale, degli effetti straordinari, mostrandosi in forme non meno numerose e svariate. Tali effetti sono evidenti dappertutto; ma, quanto alle sue cause, queste sono, per lo più, sconosciute, e non si può altro che riguardarle come proprietà originarie della natura umana, che non ho la pretesa di spiegare. (Hume, Trattato sulla natura umana)   

Associazioni di idee ripetute nel tempo conducono a elaborare credenze. Secondo Hume, la ripetuta esperienza di associare le idee a un solo e unico nome induce l’intelletto a credere anche nell’esistenza di un’idea generale.

tutte le idee generali non sono altro che idee particolari, legate a un certo termine che da loro un significato più estensivo, pasticche che si richiamano alla mente in determinate occasioni altre singole cose simili ad esse. (Hume, Trattato sulla natura umana)

Ciò significa che quando noi abbiamo una certa idea, per esempio l'idea di uomo https://image.freepik.com/vettori-gratuito/sagome-di-uomo-e-donna_23-2147505840.jpg, questa possiede quella particolarità che ha in sé l'impressione che si riceve dall'evento che l'ha provocata, per esempio la vista di un uomo, pertanto anche le idee astratte sono di per sé individuali e assumano valore generale solo quando queste sono rappresentate, ma la loro rappresentazione non corrisponde a nessuna entità astratta essa è sempre rappresentazione di un qualche particolare con un maggior grado di indeterminatezza. https://lamenteemeravigliosa.it/wp-content/uploads/2015/01/article_14170006103.jpg

Per quanto riguarda l’idea di sostanza essa è imputabile all’immaginazione e scaturisce dalla collezione di percezioni di qualità che l’esperienza mostra come abitualmente unite tra loro. La sostanza, nel senso in cui la intendeva Locke ovvero come «sostrato», non è un’idea perché non è riferibile a nessuna impressione; è soltanto una credenza, indotta dall’abitudine ad associare sempre e ripetutamente tra loro le stesse qualità. Pertanto come Berkeley Hume nega che la sostanza sia un'idea. https://i0.wp.com/gabriellagiudici.it/wp-content/uploads/2016/09/sostanza.jpg?resize=386%2C289

Dall’analisi del funzionamento della percezione umana emerge una concezione completamente passiva dell’intelletto umano.

La critica al concetto di sostanza viene poi esteso all’idea dell’Io, che era invece ammessa da Locke come frutto della conoscenza intuitiva. Per Hume lo spirito umano è ricondotto alle idee fattizie come frutto di rapporti di somiglianza e causalità tra percezioni. Scrive Hume che

Non possiamo non condannare i materialisti [come Hobbes] che uniscono sempre il pensiero all’estensione; ma contemporaneamente anche i loro avversari che uniscono sempre il pensiero ad una sostanza semplice ed indivisibile (Hume, Trattato sulla natura umana)

L’Io risulta all’analisi di Hume solo un fascio di impressioni https://lamenteemeravigliosa.it/wp-content/uploads/2016/09/donna-colorata-ascolta-musica.jpg si nega all’uomo la possibilità di riconoscere valore ontologico alla coscienza, questo perché non c’è nessuna percezione che produca un'idea unitaria dell'Io.

Quando penetro più intimamente in ciò che chiamo me stesso, inciampo sempre in una o in un'altra particolare percezione, di caldo o di freddo, di luce o d'ombra, d'amore o d'odio, di dolore o di piacere. Non riesco mai ad affermare me stesso senza una percezione, e non posso osservare nient'altro che la percezione. (Hume, Trattato sulla natura umana).

Si può affermare come ha detto Russell che Hume scacciò il concetto di sostanza della psicologia, così come Berkeley l’aveva scacciato dalla fisica.

Il problema della conoscenza e lo scetticismo

Hume definisce la conoscenza come l’atto con cui l’intelletto percepisce le relazioni tra idee. https://www.altuofianco.blog/wp-content/uploads/2021/04/mappe-mentali.jpg Tra queste relazioni ve ne sono di due tipi, quelle che dipendono dalle percezioni stesse e quelle che invece sono indipendenti dalla percezione. Tra le prime troviamo la rassomiglianza, la contrarietà, i gradi di una qualità, la proporzione e il numero. Esse si mostrano confrontando tra loro le idee, in questo caso l’intelletto non fa altro che mettere in luce le relazioni che sono già insite nelle percezioni. Per quello che riguarda le seconde invece sembra che esse siano dovute alla “credenza” umana nell’uniformità dei fenomeni naturali, tra esse vi sono la relazione d’identità, di tempo, di luogo e di causalità, che non sembrano essere collegate alle percezioni.

Da cquesta distinzione scaturiscono anche due tipi diversi di verità, ovvero quelle di ragione e quelle di fatto: le prime si hanno quando partendo da un'idea ne ricaviamo un'altra senza far ricorso all'esperienza ad esempio 2+2=4 dov'è il risultato è già implicito nell'operazione; le seconde scaturiscono dalle relazioni tra le materie di fatto dove è sempre possibile il contrario, perché non necessarie ma frutto dell'esperienza che può essere o non essere tale senza generare contraddizione alcuna. https://slideplayer.it/slide/16451759/96/images/32/Proposizioni+tra+idee+e+proposizioni+che+concernono+dati+di+fatto.jpg

Ricapitolando:

1)le verità di ragione derivano dalle sole operazioni del pensiero, sono necessarie, sempre vere e si basano sul principio di non contraddizione e la loro negazione implica un’assurdità. Tra esse rientrano tutti i teoremi della matematica.

2)le verità di fatto sono basate sull’esperienza, non sono necessarie ma contingenti e il loro contrario è sempre possibile, perché non implica contraddizione. Le verità di fatto sono tutte quelle proposizioni che parlano del mondo sulla base dell’esperienza.

A proposito delle verità di fatto Hume sostiene che per quanto l’esperienza ci consegni un mondo dove si alternano continuamente il giorno e la notte:

La proposizione «il sole non sorgerà domani» non implica maggiori contraddizioni della proposizione «il sole sorgerà domani». Invano, dunque, tenteremo di dimostrare la sua falsità; se essa fosse falsa dimostrativamente, implicherebbe contraddizione e non potrebbe mai essere distintamente concepita dalla mente. (Hume, Ricerche sull’intelletto umano) https://images.fidhouse.com/p/20ce091466dd1688f4adb50872807597218ea979-1500028824.jpg

La conoscenza che riguarda le materie di fatto si basa sul principio di causalità. https://www.okpedia.it/data/okpedia/relazione-causa-effetto.gif Per tal motivo Hume si chiede su che cosa si fonda la causalità di un fenomeno, ed egli evidenzia che essa è il frutto di una relazione di contiguità spaziale e successione temporale tra fatti, ma essa non implica la necessarietà.

Egli sottolinea che noi non vediamo mai il legame presupposto dalla relazione causale, sulla base della contiguità spazio-temporale: per esempio noi possiamo dire che vediamo prima il lampo e poi sentiamo il tuono, ma non che l'uno è necessariamente causa dell'altro. https://e7.pngegg.com/pngimages/926/149/png-clipart-thunderstorm-cloud-cloud-cloud-heart.png

Noi non abbiamo, infatti, altra nozione della causalità fuori di quella di certi oggetti che in tutti i casi precedenti trovammo sempre uniti e inseparabili. Né possiamo penetrare la ragione di quell’unione: osserviamo solo la cosa in se stessa, e constatiamo che dalla costante congiunzione gli oggetti acquistano una loro unione nell’immaginazione, sì che, quando l’impressione di uno ci colpisce, formiamo immediatamente l’idea dell’altro. Possiamo dunque stabilire che in ogni opinione o credenza c’è un’idea relativa o associata a un’impressione presente. (Hume, Trattato sulla natura umana)

Prima di Hume, tutti i tentativi di spiegare perché si crede nella causalità muovevano dal presupposto che quando si osserva una causa e poi un effetto non si fa altro che vederne la necessaria connessione. Hume cercò di capovolgere questa impostazione osservando che essendo noi tutti stati condizionati ad aspettarci l’effetto allorché vediamo una causa, siamo irresistibilmente portati a trarne l’inferenza, e ciò fa sorgere in noi l’illusione di vedere la connessione necessaria che lega il succedersi dei due eventi. Il principio di causalità interviene secondo Hume perché l'uomo è abituato a credere che il futuro sia sempre uguale al passato, perché si è abituati a vedere fenomeni che si ripetono sempre in modo eguale, ciò ci porta a credere che anche domani sorgerà il Sole, ma solo perché crediamo nell’abitudine e su questo fondiamo la nostra conoscenza. https://slideplayer.it/slide/957690/3/images/24/Causa+ed+effetto+Da+cause+simili+ci+attendiamo+effetti+simili....jpg

È evidente che tutti i ragionamenti che riguardano questioni di fatto (matter of fact) sono fondati sulla relazione di causa ed effetto e che noi non possiamo mai inferire l’esistenza di un oggetto da quella di un altro a meno che essi non siano collegati insieme, o mediatamente o immediatamente. Perciò per comprendere questi ragionamenti, dobbiamo conoscere perfettamente l’idea di una causa e, a questo scopo, dobbiamo guardarci intorno per trovare qualche cosa che sia la causa di un’altra.

Ecco una palla di biliardo che sta ferma su un tavolo ed un’altra palla che si muove verso essa con rapidità; le due palle si urtano e quella delle due che prima era ferma, ora acquista un movimento. https://stoacatalana.files.wordpress.com/2022/01/xcbxcv.jpg?w=400

Questo è un esempio della relazione di causa ed effetto tanto perfetto quanto ogni altro di quelli che noi possiamo conoscere sia per mezzo della sensazione che della riflessione. Perciò esaminiamolo. È evidente che le due palle si sono toccate l’una con l’altra prima che il movimento fosse comunicato alla seconda e che non vi fu intervallo fra l’urto e il movimento della seconda palla. Perciò la contiguità nel tempo e nello spazio è una circostanza richiesta perché operi una causa qualunque. E del pari evidente che il movimento che è causa precede il movimento che è effetto. Pertanto la priorità nel tempo è un’altra circostanza che si richiede per ogni causa. Ma questo non è tutto. Facciamo la prova con altre palle qualsiasi della stessa specie in circostanze uguali e troveremo sempre che l’impulso dell’una produce il movimento nell’altra.

Ecco quindi una terza circostanza, quella cioè della congiunzione costante fra la causa e l’effetto. Qualunque oggetto simile alla causa produce sempre qualche oggetto simile all’effetto. In questa causa non posso scoprire nulla, oltre a queste tre circostanze della contiguità, della priorità e della congiunzione costante. La prima palla è in movimento e tocca la seconda; immediatamente la seconda si mette in  movimento; e quando faccio la prova con la stessa o con palle simili, nella stessa circostanza o in circostanze simili, trovo che dopo il movimento e l’urto dell’una segue sempre il movimento dell’altra. Per qualunque lato io giri la cosa, è per quanto la esamini, non vi posso trovare nulla di più. https://arturosophia.files.wordpress.com/2017/02/humebiliardo.jpg

Questo è il caso che si verifica quando sia la causa che l’effetto sono presenti ai sensi. Vediamo ora su che cosa si fonda la nostra inferenza quando noi concludiamo dalla presenza di uno di essi che l’altro è esistito o esisterà. Supponiamo che io veda una palla che si muove in linea retta verso un’altra; immediatamente concludo che esse si urteranno e che la seconda si metterà in movimento. Questa è l’inferenza dalla causa all’effetto; e di questa natura sono tutti i ragionamenti che facciamo nella condotta della vita; su ciò si fonda tutta la nostra credenza nella storia e di qui deriva tutta la filosofia, con la sola eccezione della geometria e dell’aritmetica. Se potessimo spiegare l’inferenza che ricaviamo dall’urto delle due palle, saremmo anche in grado di dare spiegazione di quest’operazione della mente in tutti gli altri casi.

Se un uomo fosse creato, come Adamo, nel pieno vigore della sua intelligenza, egli senza esperienza non sarebbe in grado di inferire dal movimento ed impulso della prima palla il movimento della seconda. Non esiste nella causa nulla che la ragione veda e che ci faccia inferire l’effetto. Tale inferenza, se fosse possibile, equivarrebbe ad una dimostrazione, in quanto sarebbe fondata soltanto sulla comparazione delle idee. Ma nessuna inferenza dalla causa all’effetto equivale ad una dimostrazione. Di ciò ecco una prova evidente. La mente può sempre concepire che un qualsiasi effetto tenga dietro ad una qualunque causa e che un evento qualunque segua ad un altro; ora tutto ciò che noi concepiamo è possibile, quanto meno in un senso metafisico; ma dovunque interviene una dimostrazione, il contrario è impossibile ed implica contraddizione.

Perciò non vi è dimostrazione per una qualsiasi congiunzione di causa ed effetto. E questo è un principio che è generalmente ammesso dai filosofi. Sarebbe stato quindi necessario per Adamo (salvo il caso di un’ispirazione divina) aver avuto esperienza dell’effetto che ha tenuto dietro all’urto delle due palle. Egli avrebbe dovuto vedere, in più che quando una palla ne urta un’altra, la seconda si mette sempre in movimento. Se avesse visto un numero sufficiente di casi di questo genere, ogni volta che vedesse una palla muoversi verso un’altra, concluderebbe sempre senza esitazione che la seconda si metterà in movimento. Il suo intelletto anticiperebbe la sua vista e formerebbe una conclusione conforme alla sua passata esperienza.

Ne segue, allora, che tutti i ragionamenti che riguardano la causa e l’effetto sono fondati sull’esperienza e che tutti i ragionamenti che derivano dall’esperienza sono fondati sulla supposizione che il corso della natura continuerà ad essere uniformemente lo stesso. Noi concludiamo che cause simili, in circostanze simili, produrranno sempre effetti simili. Può essere ora opportuno considerare che cosa ci induce a formulare una conclusione di portata così infinita.

È evidente che Adamo, con tutta la sua scienza, non sarebbe mai stato in grado di dimostrare che il corso della natura deve continuare ad essere uniformemente lo stesso e che il futuro deve essere conforme al passato. Ciò che è possibile non si può mai dimostrare che è falso; ed è possibile che il corso della natura possa cambiare, dal momento che noi possiamo concepire tale cambiamento. Ma io di più ed affermo che Adamo non sarebbe riuscito a provare con argomenti probabili qualsiasi che il futuro deve essere conforme al passato. Tutti gli argomenti probabili sono fondati sulla supposizione che vi sia conformità fra il futuro ed il passato e perciò non possono provare tale supposizione. Questa conformità è una questione di fatto e, se deve essere provata, non ammetterà altra prova che non sia quella tratta dall’esperienza. Ma la nostra esperienza del passato non può provare nulla per il futuro, se non in base alla supposizione che ci sia una somiglianza fra passato e futuro. Perciò questo è un punto che non ammette affatto prova di sorta e che noi diamo per concesso senza prova alcuna.

Noi siamo determinati soltanto dall’abitudine a supporre che il futuro sia conforme al passato. Quando vedo una palla di biliardo che si muove verso un’altra, la mia mente è immediatamente spinta dall’abitudine verso il consueto effetto ed anticipa la mia vista concependo la seconda palla in movimento.

Non c’ è nulla in questi oggetti, astrattamente considerati, ed indipendentemente dall’esperienza, che mi porti a formulare una simile conclusione; ed anche dopo che io abbia avuto esperienza di molti effetti di questo genere che si siano ripetuti, non c’è argomento che mi determini a supporre che l’effetto sarà conforme all’esperienza passata. I poteri in forza dei quali operano i corpi sono del tutto sconosciuti. Noi percepiamo soltanto le loro qualità sensibili; e quale ragione abbiamo per ritenere che gli stessi poteri saranno sempre congiunti con le stesse qualità sensibili?

Non è dunque la ragione la guida della vita, ma l’abitudine. Essa soltanto muove la mente, in tutti i casi, a supporre il futuro conforme al passato. Per quanto facile possa sembrare questo passo, la ragione non sarebbe mai in grado di compierlo per tutta l’eternità. (Hume, Ricerche sull’intelletto umano) https://bfrasi.com/fotos/ea/ea606d2d9975d8c416c44c293b999c2c.jpg

Dunque Hume con la critica alla causalità porta l’empirismo sulla via dello scetticismo, infatti,  affermando che tutta la conoscenza si basa sull'esperienza equivale ad affermare che esistono solo relazioni contingenti e non necessarie perciò la scienza non può che fare previsioni probabilistiche quando si avvale del principio di induzione ovvero l'analisi di casi particolari per la formulazione di norme generali. https://www.focus.it/site_stored/imgs/0004/044/meteo.1020x680.jpg

Lo scetticismo di Hume si basa interamente sul rifiuto del principio di induzione. Il principio di induzione applicato alla causalità dice che se si trova che A è molto spesso accompagnato e seguito da B, e non si conosce alcun caso in cui A non sia accompagnato e seguito da B, è probabile allora che alla prossima occasione in cui sarà osservata A questo sarà seguito e accompagnato da B. Se il principio è sufficientemente esatto, un numero abbastanza elevato di esempi rende la probabilità non molto lontano dalla certezza. (Russell, Storia della filosofia Occidentale)

La morale

L'analisi condotta fin ora da Hume ha come obiettivo contrastare non tanto la possibilità della previsione scientifica, purché essa venga considerata probabile in base all'esperienza e non necessaria in base alla ragione, ma quella di sconfiggere ogni forma di dogmatismo e di superstizione. https://www.estudopratico.com.br/wp-content/uploads/2015/07/dogmatismo.jpg

Uno degli aspetti tipici della filosofia illuminista e la posizione deista contrapposta alle religioni intese come pratiche fondate sul mistero e sul miracolo. Anche Hume aderisce cautamente al deismo, affermando che la perfezione del nostro corpo come la complessità della natura ci portano a supporre l'esistenza di un essere superiore. https://www.rollingstone.it/wp-content/uploads/2021/07/davide-cantelli-H3giJcTw__w-unsplash.jpg Contemporaneamente afferma che il cristianesimo, così come le altre religioni, fondano il loro credo su miracoli ed eventi misteriosi, dove è sempre possibile l'intervento divino negli eventi mondani. https://wips.plug.it/cips/initalia.virgilio.it/cms/2016/09/miracolo-trani.jpg

possiamo concludere che la religione cristiana non soltanto fu accompagnata da miracoli alle origini, ma nemmeno oggi può essere creduta da qualunque persona ragionevole senza un miracolo. La pura ragione è insufficiente a convincerci della sua veridicità. (Hume, Ricerche sull’intelletto umano)

In particolare è la paura dell'ignoto e del futuro che spinge gli uomini a credere in una religione basata sul miracoloso intervento della divinità nell'ordine del mondo. È il miracolo a fondare la credenza generale nell'esistenza della divinità, ma il miracolo in quanto tale non ha alcun fondamento plausibile.

Hume intende introdurre il metodo sperimentale anche negli argomenti morali. Egli sposa una visione naturalistica del problema morale in quanto ritiene che i concetti di bene e di male abbiamo un origine naturale e storica. https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcTL9HhGG5ieY-JXbhVIS-FtgrXbF065OWwu6-Rn4YU9sMHSLY6TBw&s

Per quanto riguarda la morale il filosofo scozzese critica la pretesa di chi, in epoca antica come in epoca moderna, ha cercato di fondare la morale su principi non verificabili. Egli non rifiuta la ricerca di un possibile fondamento dell'agire morale, ma non vuole che tale fondamento venga assunto come valore universale e assoluto. Da questo punto di vista Hume respinge sia le tesi dei razionalisti che quelle dei sentimentalisti affermando che tanto la ragione quanto il sentimento concorrono in genere in tutte le determinazioni e le conclusioni morali. https://www.libero-arbitrio.it/wp-content/uploads/2018/02/ragione-e-sentimento.jpg

Nello stesso modo egli respinge anche l'ambizione dei filosofi di ricondurre l'etica nell'ambito delle scienze fisiche e matematiche, perché l'agire morale non può rientrare nel puro calcolo, esso, infatti, dipende da una serie troppo complessa di fattori. Il compito dell'etica dunque non è quello di valutare o di calcolare l'agire morale, ma comprendere le sue motivazioni e le sue finalità.

Hume afferma che per comprendere le motivazioni dell'agire umano bisogna tenere conto della dimensione istintuale che caratterizza il nostro essere: l'uomo infatti pur essendo ispirato dalla ragione opera principalmente in vista del soddisfacimento dei propri bisogni, desideri e passioni. https://www.mauriziodalsanto.com/wp-content/uploads/piramide-di-maslow-tecniche-di-vendita1-538x218.jpg Proprio per questo lo studio dell'etica non ha come risultato l'approvazione o la condanna delle singole azioni quanto piuttosto la comprensione dei moventi delle condotte umane. Tale comprensione non può prescindere dal criterio dell'utile che risulta essere dunque un concetto fondamentale per la comprensione dell'agire umano. https://0901.static.prezi.com/preview/v2/6i6qn7igjdwllitc62cuxnzbg76jc3sachvcdoaizecfr3dnitcq_3_0.png 

Essendo l'uomo mosso da moventi affettivo-istintuali si potrebbe immaginare che Hume affermi che il comportamento umano sia esclusivamente egoistico, ma su questo aspetto il filosofo scozzese afferma che l'uomo è in grado di oltrepassare l'orizzonte del proprio io grazie alla "simpatia" https://www.francescapagliuso.it/wp-content/uploads/2018/11/img_articolo_3.jpg che regola i rapporti tra gli uomini da cui consegue anche il "con-sentire" le gioie e le sofferenze degli altri. È dunque il consenso generale che fornisce quindi il metro di giudizio in quanto esso risulta conformarsi a un giudizio medio, cioè un giudizio di buon senso. https://www.basketcasarsa.it/wp-content/uploads/2021/01/310121_BUONSENSO-800x450.jpg Le tesi di Hume furono tacciate di relativismo morale, così come di relativismo furono accusate le sue analisi sulla conoscenza umana.

 


L'importanza di George Berkeley è dovuta alla sua negazione dell’esistenza della materia che egli suffragò con diversi ingegnosi argomenti. Sosteneva che gli oggetti materiali esistono solo in quanto vengono percepiti. All’obiezione che, in tal caso, un albero cesserebbe di esistere allorché nessuno lo guarda, Berkeley risponde che Dio vede sempre tutto……(Russell, Storia della filosofia Occidentale) https://i.ytimg.com/vi/GFzwbSElUF4/hqdefault.jpg

George Berkeley nacque nel 1685 a Kilkenny in Irlanda. Si laureo a Dublino nel 1707. Dopo essere rimasto coinvolto nelle dispute tra i cattolici, che erano la maggioranza, e i protestanti di cui egli faceva parte, fu costretto a trasferirsi a Londra. Egli viaggio anche in Francia e in Italia. In questo periodo giovanile egli scrisse le sue opere più importanti: Saggio di una nuova teoria della visione del 1709, Trattato sui principi della conoscenza del 1710, Dialoghi tra Hylas e Philonus del 1713.

Nel 1721 Berkeley torna a Londra e, per farsi notare dal governo inglese, concepisce un progetto di evangelizzazione delle Americhe e nel 1728 parte alla volta delle Bermude con l’intento di creare un collegio, ma non ricevette i fondi attesi dal governo. https://www.amicidilazzaro.it/wp-content/uploads/2016/01/Americhe.png Dopo tre anni trascorsi a Rhode Island nel 1731 tornò in patria ed abbandonò il progetto.

Nel 1734 divenne vescovo di Cloyne in Irlandahttps://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/a8/Monasticon_Hibernicum_1873_Cathedral_St_Colman.jpg. Nella fase finale della sua vita egli da prima sconfessò in parte il suo pensiero e poi abbondonò gli studi di filosofia. Morì ad Oxford il 20 febbraio del 1753. 

Berkeley nel Trattato afferma che i filosofi non sono come vorrebbero i più saggi tra gli uomini e perciò i più equilibrati, ma al contrario, rispetto al popolo non istruito, vivono tra continui dubbi ed incertezze. https://www.psicologiaparioli.it/wp-content/uploads/2013/10/Il-dubbio_1.jpg

appena abbandoniamo il senso e l'istinto per lasciarci guidare da lume di un principio superiore a quelli per ragionare e meditare e riflettere sul intima essenza delle cose, subito Mille e mille dubbi sorgono nella nostra mente, proprio su quelle cose che prima ci sembrava di comprendere perfettamente (Berkeley, Trattato sui principi della conoscenza umana).

L’obiettivo di Berkeley diviene dunque quello di eliminare i dubbi e le incertezze che generano uno scetticismo incontrollabile. Il suo bersaglio polemico iniziale è rappresentato dalla filosofia di John Locke. Berkeley non condivide l'idea di Locke che esistano idee astratte, ovvero che la mente umana abbia la capacità di creare nozioni separate dal sostrato fisico (ciò che diviene) al quale sono collegate. https://www.dellachiara.it/wp-content/uploads/2018/04/MAGIS_Puppy.jpg Secondo lui le idee astratte sono responsabili di numerosi errori che si verificano in quasi tutti i campi della conoscenza.

Berkeley afferma che tali idee dipendono da un uso improprio del linguaggio, per evitare un abuso del linguaggio e gli propone di usare un metodo che si avvalga delle seguenti regole: essere brevi, chiari, precisi, evitare di rendere oscure le cose semplici e impossibili le cose difficili, evitare che l'uso di una terminologia tradizionale e imprecisa possa provocare ambiguità o confusione.

poiché le parole ingannano così facilmente l'intelletto, ho deciso di farne meno uso che posso nelle mie ricerche: quali che siano le idee che considero, tempo di tenerle presenti nude e crude, escludendo dai miei pensieri finché posso quei nomi che sono stati congiunti ad essere strettamente da un uso prolungato e continuo. (Berkeley, Trattato sui principi della conoscenza umana).

A differenza di Locke il filosofo irlandese afferma che esistono tre tipi di idee:

1)le idee impresse nei sensi nel momento attuale, la cui esistenza è determinata dall'esperienza che si sta facendo in quel momenti https://1.bp.blogspot.com/-aFv_K21N1L8/WFfAHefj5_I/AAAAAAAAIZ0/SsehyVuZB9813g2QkrDMVThgOW99K1rtgCLcB/s1600/mano_fuoco.jpg

2)le idee percepite prestando attenzione alle emozioni e agli atti della mente, cioè quelle che ci formiamo ascoltando i nostri processi di pensiero le nostre emozioni, come i sentimenti che si provano quando si è vicini alla persona amata https://lamenteemeravigliosa.it/wp-content/uploads/2017/04/ragazza-affetto.jpg

3) le idee formate con l'aiuto della memoria e dell’immaginazione, cioè riunendo e dividendo le idee originariamente ricevute nei modi precedenti https://www.stateofmind.it/wp-content/uploads/2015/09/Fotolia_66295244_vite-senza-immaginazione-cosa-sono3-680x365.jpg

La posizione di Berkeley è un insieme di empirismo e spiritualismo. Per sconfiggere lo scetticismo e riuscire a evitare di imporre dei limiti alla capacità di conoscere della mente, il filosofo irlandese propone che dobbiamo considerare esistente soltanto l'attività della mente e negare l'esistenza di una realtà materiale fuori di noi. Di conseguenza a differenza della gnoseologia tradizionale le idee non sono rappresentazioni, fantasmi, cioè contenuti della mente o strumenti dell'intelletto, ma segni o tracce della percezione sensoriale. La percezione che il soggetto ha dell'oggetto è la sola di cui si possa dire che esiste o che sia reale, dunque l'oggetto non è in sé reale.https://andreaseverini.files.wordpress.com/2018/02/07_giorno_notte.jpg?w=723 Infatti, nulla può essere considerato esistente se si prescinde dalla mente che lo pensa. Se dunque le idee sono gli unici elementi del nostro conoscere possiamo confutare l'esistenza di un mondo o di una materia separata e opposta al io, che risulterebbe oscura, confusa e non comprensibile.https://2.bp.blogspot.com/-hyO6fzv_n-M/UY5dWWmc1qI/AAAAAAAABMY/55BxL3OKmX8/s1600/percezione01.jpg

tutti riconosceranno che né i nostri pensieri né i nostri sentimenti né le idee formate dall'immaginazione possono esistere senza la mente. Ma per me non è nemmeno evidente che le varie sensazioni, ossia le idee imprese ai sensi, per quanto fuso e combinate insieme [...] non possono esistere altro che in una mente che le percepisce [...] l’esse delle cose è un percipi, e non è possibile che esse possano avere una qualunque esistenza fuori dalle menti o dalle cose pensanti che le percepiscono. (Berkeley, Trattato sui principi della conoscenza umana).

Questa posizione può essere riassunta con la formula da lui stesso proposta esse est percipi ovvero esistere è esser percepito: 

Gli oggetti non sono altro che qualità.
Le qualità non sono altro che percezione, Quindi gli oggetti non sono altro che percezione - cioè Esse Est Percipi - "essere, è essere percepiti"
Quindi, Berkeley afferma che le idee non derivano dalla materia inattiva ma dall'anima attiva.
È l'attività della mente che è la fonte di tutte le idee.

https://philosophyoptional.com/wp-content/uploads/2018/01/Berkeleys-Philosophy.png.

Dunque le idee sono sempre rappresentazioni di cose particolari per esempio l'idea del triangolo è data dal triangolo che ho tracciato sulla carta così come l'idea di una mela è data da quella mela che ho sul tavolo, è solo l'uso che l'intelletto fa delle idee ad essere generale e non particolare. Quando pensiamo al cane ad esempio abbiamo sempre davanti agli occhi della mente un particolare cane che ho veduto altre volte. https://angelovaira.it/wp-content/uploads/2016/07/97f3f7845f335c5e0dc603d6b542e2eb-1.jpg Anche la distinzione tra qualità primarie, oggettive, e qualità secondarie, soggettive, (ad esempio tra estensione colore, figura o sapore) è respinta perché a suo modo di vedere tutte le qualità dipendono dalla percezione che il soggetto ne ha e quindi sono tutte soggettive.

e stranamente diffusa l'opinione che le case, le montagne, i fiumi insomma tutti gli oggetti sensibili abbiano un'esistenza reale o naturale distinta dal fatto di venire percepiti dall'intelletto. Ma per quanto sia grande la certezza il consenso con i quali si è finora accettato questo principio, Tuttavia chiunque si senta di metterlo in dubbio troverà (se non sbaglio) che esso implica una contraddizione evidente. Infatti che cosa sono, ditemi, gli oggetti sopra elencati se non cose che percepiamo con il senso? E che cosa possiamo percepire oltre alle nostre proprie idee o sensazioni? E non è senz'altro contraddittorio che una qualunque di queste, o qualunque combinazione di esse, possa esistere senza essere percepita? (Berkeley, Trattato sui principi della conoscenza umana).

Ne consegue che l'unica cosa che esiste è il pensiero che percepisce, cioè lo spiritohttps://www.visioneolistica.it/wp-content/uploads/2018/12/pensieri-creano-realta-696x432.jpg. le caratteristiche dello spirito sono la semplicità, l'indivisibilità, l'attività mentre le sue capacità sono l'intelletto e la volontà:

uno spirito è un essere semplice, indivisibile attivo,: in quanto esso percepisce idee si chiama “intelletto”; in quanto produce idee opere in altro modo su di esso, si chiama “volontà”. (Berkeley, Trattato sui principi della conoscenza umana).

Si potrebbe affermare che l'intero universo dipende dalla mente dell'uomo nel momento in cui lo percepisce, ma filosofo irlandese precisa che la percezione dipende da Dio, il quale è anche il garante della veridicità delle percezioni.https://i.ytimg.com/vi/GFzwbSElUF4/hqdefault.jpg

Nel terzo libro Locke si accorge bene che “c’è une connessione così stretta fra le idee e le parole” che è impossibile indagare la conoscenza senza prima chiarire anche “la natura, l’uso e il significato del linguaggio”. Lo stretto legame dipende dalla convinzione che le parole siano “segni delle idee”, simboli che richiamano le idee delle cose. Il linguaggio nasce dunque dalla necessità di comunicare ed è, in quanto tale, convenzionale: a tal fine i nomi rendono generali e quindi comunicabili le nostre esperienze. https://cdn.shortpixel.ai/client/q_lossy,ret_img,w_1200/https://www.nardonegroup.org/wp-content/uploads/2016/09/blog12.png I nomi generali sono dunque simboli di idee complesse che si formano attraverso un processo di astrazione o separazione che elimina quelle determinazioni che fanno di ogni idea un qualcosa di unico e particolare.http://symwriter.auxilia.it/images/p026_1_04.png

Reali non sono dunque le idee generali, ma i particolari concreti che esse rappresentano. Questa posizione è detta nominalistica ed in età moderna era stata difesa già da Hobbes e Gassendi.

Le essenze nominali sono perciò perfettamente conoscibili, perché sono gli uomini a elaborare, attraverso definizioni puramente linguistiche, che si riferiscono a idee generali o astratte. Ma in questo caso l’essenza si riferisce soltanto a un’idea generale di uomo e non indica l’essenza reale, che è la natura da cui dipendono tutte le sue proprietà, concrete e individuali. A differenza di un’idea generale, l’idea di sostanza intende infatti essere qualcosa di reale, ossia il sostrato, il supporto effettivo di qualità e operazioni individuali, concrete.

L’ultimo libro del Saggio indaga limiti e gradi della conoscenza umana. Per Locke conoscere significa percepire l’accordo o il disaccordo tra idee. Egli distingue tre modalità di conoscenza, che può essere intuitiva,https://www.libero-arbitrio.it/wp-content/uploads/2014/11/intuito2.jpg se coglie immediatamente l’accordo o il disaccordo, dimostrativa,https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcQcaaUt2T7_Jo6wn38IEp3I6UIJTrRnVjfVs82NyTYsmaa3KYG3&s se concatena certezze intuitive, o sensoriale, se invece consiste nella sensazione attuale. https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcRDdzjBsx9kapBVG7BHL-BdGrYicvnxZao3uNV-rwa2ZcoL30wE&s

Tutta la nostra conoscenza più solida, secondo l’autore, dipende da queste modalità che, però, presentano gradi, limiti diversi di evidenza e confini di estensione. È evidente al massimo grado l’intuizione, mentre la conoscenza dimostrativa, le cui prove dipendono da intuizioni tra loro connesse, presenta minor chiarezza. Ma è da attribuire un’evidenza ancora minore alla conoscenza sensoriale, che rende certi dell’esistenza di qualcosa di reale ma senza dare garanzie di verità. Tuttavia Locke chiarisce che, anche il sapere più chiaro ed evidente (intuizione), ha comunque dei limiti.

Siccome, come abbiamo visto, conoscere significa confrontare idee, ecco che incontriamo il primo limite della nostra conoscenza: è impossibile avere conoscenza di ciò di cui non abbiamo idea. Ma, non soltanto la nostra conoscenza non può andare oltre le nostre idee, è perfino più ristretta di esse! Questo, il secondo limite, sta nel fatto che l’uomo non può estendere la conoscenza intuitiva a tutte le relazioni fra idee.

Laddove le idee non sono chiare e distinte, ma oscure e confuse, si vanifica la possibilità di avere evidenza intuitiva e dimostrativa. Il sapere certo ha, dunque, anche un confine ben preciso: nell’ambito della certezza, intuizione e dimostrazione riguardano soprattutto le idee, più che la realtà. Infatti i saperi come la morale, la matematica e la geometria hanno come loro oggetti idee complesse, che nascono e vengono elaborate dalla mente umana, per poi essere riferite e applicate alla realtà. Per Locke, quindi, noi non conformiamo le idee alla realtà ma, al contrario, conformiamo la realtà alle nostre idee.

La sola conoscenza che è in grado di mettere in contatto il mondo mentale delle idee e la realtà esterna è quella sensoriale, per mezzo di cui possiamo attestare l’esistenza di oggetti. Il limite della certezza sensoriale, però, è che solo l’attualità della sensazione permette di affermare con certezza l’esistenza delle cose esterne.

Noi, però, possiamo avere certezza intuitiva del nostro essere e certezza dimostrativa dell'esitenza di Dio. Possiamo, prima di tutto, essere certi del nostro io perché ne abbiamo conferma immediata e costante dall’esperienza: quando dubitiamo o, ancor di più, proviamo dolore, siamo tanto certi della nostra esistenza quanto dell’esistenza del dolore che proviamo.https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcRCYNU7E0roXv_HyZotMdrfy8EgukHYb663SBPsFvbAYe0mPX0r&s 

Ma anche l’esistenza di Dio, nonostante l’uomo non ne abbia alcuna idea innata, è perfettamente dimostrabile, in quanto, dal momento che qualcosa esiste, qualcosa deve esistere fin dall’eternità. Infatti è intuitivamente certo, proprio come nel caso del nostro esistere, che dal nulla non nasce nulla e, poiché l’uomo non ha necessità di esistere, né dall’uomo né dal nulla può aver avuto inizio la propria esistenza. La nostra esistenza ha bensì origine da Dio, l’ente che esiste necessariamente di per sé. http://www.ilmonteanalogo.it/wp-content/uploads/2018/04/dio-creatore-e1525268411740.jpg

Di Dio possiamo anche sapere che si tratta di un ente pensante, perché è causa dell’uomo che è pensante (e l’effetto non può essere più reale della sua causa), ma anche che è immateriale, questo perché, come aveva affermato anche Cartesio, è impossibile attribuire alla materia un’autonoma e spontanea capacità di agire.

Non è possibile conoscere la sostanza, e quindi l’intima essenza, non solo delle cose che esistono fuori di noi, ma anche dell’io e di Dio: il nostro sapere rimane perciò estremamente circoscritto e limitato e, di conseguenza, pur essendo sufficiente a soddisfare tutti gli scopi umani, la comprensione dell’intelletto è estremamente ridotta. Locke osserva che il nostro intelletto è come una candela, che è capace di far luce intorno a noi ma non può certo eguagliare l’intensità della luce solare.

Perfino la questione che riguarda la materialità o l’immaterialità della mente umana non è risolvibile con assoluta certezza poiché, seppure è irragionevole pensare -come Hobbes- che la materia abbia il potere autonomo di pensare, non possiamo comunque escludere che Dio, nella sua onnipotenza, abbia aggiunto al cervello questo potere eccezionale.

Oltre che di conoscenza intuitiva, dimostrativa e sensibile, Locke parla anche del vasto sapere probabile, in cui la concordanza tra idee è solo supposta. Con questo si vuole affermare che, della realtà, non si avrà mai scienza, ma soltanto conoscenza probabile. Il giudizio umano compensa, infatti, ciò di cui non può essere completamente certo soppesando diversi gradi di probabilità. https://image.slidesharecdn.com/calcolodelleprobabilita-180919203737/95/calcolo-delle-probabilita-1-638.jpg?cb=1537389621

Giunto a questo punto, Locke, rielaborando una distinzione già formulata da Boyle, individua un ambito del sapere in accordo con la ragione, un altro contrario e, infine, uno superiore alla ragione, che è proprio della fede. Egli distingue quindi tra proposizioni costruite su idee chiare e perfette, che costituiscono l’ambito della conoscenza razionale, proposizioni contrarie alle nostre idee chiare e perfette, che risultano estranee sia alla ragione che alla fede e, quindi, non hanno alcuna validità conoscitiva e, infine, proposizioni superiori alla nostra ragione, esse rappresentano l’ambito di competenza della fede, una conoscenza rivelato per via sovrannaturale, a cui la ragione, da sola, non sarebbe mai potuta pervenire. Ma, benché superiori, i contenuti della fede non sono contrari a quelli della ragione, dunque non è giustificabile, a parere dell’autore, il fanatismo religioso, che spinge a credere nell’assurdo.

Ne La ragionevolezza del cristianesimo (1689), Locke mostra come il cristianesimo, se liberato dai dogmi inutili, non sia affatto in contrasto con la ragione. Locke individua nella Fede in Cristo e nel suo messaggio salvifico l’unico dogma costitutivo di ogni cristiano; il cristianesimo è quindi ragionevole perché, seppur non può essere provato, non propone niente di irrazionale.

La conoscenza umana

si divide

conoscenza intuitiva per cui si ha:

conoscenza dimostrativa per cui si ha: conoscenza sensibile per cui si ha

certezza intuitiva

ad esempio il proprio "io"

certezza dimostrastrativa

ad esempio Dio

certezza sensibile

ad esempio del mondo esterno

tuttavia nessuno di esse ci permette di conoscere la sostanza

pertanto si ha

sapere probabile sulle sostanze del mondo fede per quanto riguarda la sostanza divina

Oltre ad essere il padre dell’empirismo Locke può essere considerato il fondatore del liberalismo, ossia di quell’atteggiamento etico-politico che, in opposizione all’assolutismo, concepisce il potere politico dello Stato come strumento volto a garantire la libertà del singolo cittadino.http://www.pietropaganini.it/web/wp-content/uploads/2018/03/20170916_bkp504-1120x630.jpg

Le più importanti opere etico-politico di John Locke sono i Due trattati sul governo (1690), che propongono una completa analisi del fondamento della società civile e del potere politico e che sono stati composti contemporaneamente agli eventi politici che portarono l’Inghilterra a diventare una monarchia costituzionale moderna. Insieme a questi due trattati va collocata anche la Lettera sulla tolleranza pubblicata nel 1689 nella quale Locke affronta il rapporto tra potere temporale e potere spirituale. 

Il primo dei Due trattati di Locke è una risposta polemica all’opera di Robert Filmer che, nel suo Patriarcha or the Natural Power of Kings (1680), aveva difeso l’assolutismo monarchico e il diritto divino dell’autorità del sovrano. Locke contesta queste argomentazioni opponendo il principio secondo cui, per natura, tutti gli uomini sono liberi e uguali; nessuno, infatti, nasce investito del diritto di comandare e governare sugli altri.http://3.bp.blogspot.com/-bEhHkvnx7LY/U9ANztrg43I/AAAAAAAAKrg/EIgVVqDxhtI/s1600/Uomini+uguali.jpg

Il secondo trattato spiega dettagliatamente come la società civile sia istituita da un patto consensuale fra gli uomini, un libero contratto con cui tutti gli uomini escono dallo stato di natura e si impegnano a sottomettersi alle decisioni della maggioranza, sposando le tesi contrattualisti di Hobbes.

Per quanto riguarda lo Stato di Natura  Locke sostiene che esso non è né una sorta di paradiso perduto dal quale gli uomini non si sarebbero allontanati né uno stato di guerra perpetua, come sosteneva Hobbes. https://www.osservatoriodiritti.it/wp-content/uploads/2017/05/indios-brasile.jpg

Lo stato di natura è di per sé governato dalla ragione, esso è caratterizzato da tre diritti fondamentali il diritto alla vita https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcQZNl0pAXhDllb-tN5U_FLjjM9i7qi0U4m0ySp0AUvUeI4MzxzK&s, il diritto alla proprietà privata https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcRT8m_QgqwbGUSa4GgV9i5zmdXFaDxKeNm8befdZDB9CP3VNONx&s e alla libertàhttps://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcQ_TTJYvT3kCyKKf08qti1JIvUNpiVe_rQtCPBuWL0YN0Is5DEV&s. Ognuno di questi diritti può estendersi fino  a che non entra in conflitto con quelli degli altri individui. In particolare Locke difende il diritto alla proprietà privata dei beni affermando che:

Ognuno ha diritto a quei beni che la natura ha provveduto in comune, nella misura in cui è capace di usarne, e può possedere quanto è in grado di realizzare con il suo lavoro: tutto ciò che rientra nell'ambito della sua operosità e viene, mediante di essa, rimosso dallo stato in cui la natura lo ha posto, è suo. [...] E come gli uomini erano in grado di avere delle proprietà in proporzione al loro lavoro, così questa scoperta della moneta offri loro l'occasione di mantenerle e accrescerle. (Locke, Il secondo trattato sul governo civile)https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcR8lrUwAKIas-dnR69zTWziUKNI-dBhNBDJz4ilP-Gn9y6LLAJN&s

Lo stato di natura è quindi semplicemente insicuro, perché, seppur al suo interno vigano delle regole fondamentali che riguardano in particolar modo i diritti naturali o fondamentali dell’uomo, il rispetto di questi diritti è alquanto precario. Nello stato di natura, la proprietà rischia di essere espropriata con la forza e la vita e la libertà sono minacciate dall’aggressività altrui, inoltre nessuno riesce da solo a soddisfare compiutamente ai propri bisogni (produrre cibo, costruirsi un alloggio, difendersi, creare gli strumenti per lavorare…ecc).https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcR-Tz6c5tBt42ehkXzAFGtf-gGRPHRz_vsQ4GTDgIaauOxcLa8p&s

La società civile nasce perciò per difendere i diritti di natura dei suoi associati tramite la creazione di un potere politico, ossia lo Stato, che sia in grado di dare a tutti garanzia e sicurezza, oltre che permettere la cooperazione tra i vari individui facilitando il soddisfacimento dei propri bisogni.https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcTiUns5W30Y8rqCE7-6HF7i3qM8O3xDezlFMkfZ2wgGAJvz2HKD&s

Il solo modo in cui un uomo si spoglia della sua libertà naturale e assume su di sé i vincoli della società civile, consiste nel accordarsi con altri uomini per associarsi unirsi in una comunità al fine di vivere gli uni con gli altri in comodità, sicurezza e pace, nel sicuro godimento della sua proprietà e con una maggior protezione contro coloro che non vi appartengono.(Locke, Il secondo trattato sul governo civile)

Locke precisa che nessuno può legittimamente detenere il potere per una presunta investitura divina, per tradizione familiare, per eredità o per meriti acquisiti in un remoto passato. Il potere, infatti, è frutto di un consenso tra tutti i cittadini che pongono in essere, legittimamente e consapevolmente, un contratto che vincola tutti e ciascuno al rispetto della legge e della proprietà prodotta dal lavoro nonché la Libertà individuale. Dunque nessun governante governa senza questa autorizzazione dal basso, creata per comune consenso. https://www.homolaicus.com/storia/moderna/rivoluzione_inglese/images/parlamento-inglese.jpg Lo stesso magistrato dovrà pertanto riconoscere e obbedire, senza eccezione, alla legge. I suoi atti non potranno né andare contro la legge né oltrepassare i confini che sono stati stabiliti, egli dunque sarà sempre soggetto a controllo e a possibile rimozione nel caso in cui disattenta il suo compito. Pertanto egli prende le distanze dall'assolutismo professato da Hobbes.

Né un potere assoluto e arbitrario né un governo senza leggi fisiche stabilite possono essere compatibili con i figli della società e del governo, perché gli uomini non rinuncerebbero alla libertà dello stato di natura, né si sottometterebbero al governo, se non per conservare la loro vita, la loro libertà e le loro fortune e assicurarsi la pace la tranquillità con norme dichiarate che regolano il diritto e la proprietà. Non è lecito pensare che essi, avendo il potere di farlo, intendessero conferire a uno a più persone il potere assoluto e arbitrario sulla loro persone sui loro beni, e porre nelle mani dei magistrati una forza atta ad esercitare arbitrariamente su di loro una volontà illimitata. Questo equivarrebbe a porsi una condizione peggiore dello stato di natura in cui essi avevano la libertà di difendere il loro diritto contro le offese altrui e si trovano in pari condizioni di forza per sostenerlo, fosse questo diritto violato da un solo uomo o da molti altri insieme associati. E perciò di qualsiasi forma di Stato si tratti, il potere deve governare per mezzo di legge dichiarate riconosciute e non per mezzo di prescrizioni estemporanee deliberatamente imprecise.(Locke, Il secondo trattato sul governo civile)

Contro il potere politico che eccede i limiti per i quali è stato istituito il popolo ha diritto di ricorrere alla resistenza e alla forza. In questo caso non si tratta infatti di sovvertire l'ordine costituito ma anzi ristabilire il rispetto della legge da parte di governanti che gestiscono il potere a discapito del bene comune.

Là dove finisce la legge comincia la tirannide, se la legge viene trasgredita danno di altri; e chiunque nell'esercizio dell'autorità ecceda il potere conferitogli dalla legge e fa uso della forza che ha al proprio comando per ordine contro i sudditi ciò che la legge non permette, cessa con ciò stesso di essere un magistrato e, in quanto agisce senza autorità, gli si può opporre resistenza come a chiunque con la forza violi l'altrui diritto.(Locke, Il secondo trattato sul governo civile)https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/1/12/Battle_of_Naseby.jpg/260px-Battle_of_Naseby.jpg

Anche se Locke e Hobbes condividono l'impostazione contrattualista le loro teorie politiche hanno un esito ben diverso, per Hobbes infatti il sovrano è insindacabile e gli interessi dello Stato vengono prima di quelli del singolo, mentre per Locke lo Stato esiste proprio per garantire gli interessi del singolo: in particolare Locke sostiene che i diritti dell'individuo sono inviolabili e che esso non sia sottoposto a nessun limite se non a quelli necessari per garantire la pacifica convivenza. Ciò significa che in nessun modo lo Stato può interferire nella vita privata della persona e questo vale soprattutto per quanto riguarda la libertà di coscienza, di pensiero, di stile di vita e di religione.  

Queste tematiche sono trattate in particolare nella Lettera sulla tolleranza (1689), dove Locke sostiene appunto che lo Stato non ha alcun potere sulla religione, che è un fatto strettamente privato, e che, anzi, la tolleranza debba essere considerata il tratto distintivo della “vera Chiesa”, la cui virtù suprema è la carità.

Mi sembra che lo Stato sia una società di uomini costituita per conservare e promuovere soltanto i beni civili. Chiamo beni civili la vita, la libertà, l'integrità del corpo, la sua immunità dal dolore, i possessi delle cose esterne, come la terra, il danaro, le suppellettili, ecc.(Locke, Lettera sulla tolleranza)

Quindi, a parere di Locke, è di fondamentale importanza per il buon andamento dello Stato la netta separazione tra politica e religione.

Il potere civile non deve prescrivere articoli di fede o dogmi o modi di culto Divino con la legge civile. (Locke, Lettera sulla tolleranza)

Tuttavia l’autore ricorda che, seppure la religione sia un fatto privato, il credente è comunque prima di tutto un cittadino e dunque, come si legge nella stessa Bibbia, in Matteo 22:21 ‘[…] Rendete dunque a Cesare (inteso qui come lo Stato) quel che è di Cesare […]’,https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcTupjXN1-OCham5BUpbJXjPyh02A5--BWol6iaQdcwHUcPZWyRe&s sarà prima di tutto

Ad ogni modo, per tutelare lo Stato, non possono essere accettate le religioni che abbiano dogmi e pratiche che si pongono in contrasto con le leggi della società. In particolare, Locke sostiene che le religioni che sono governate da un capo straniero andrebbero proibite, facendo riferimento esplicito ai cattolici i quali devono sottostare alle leggi di un sovrano di un altra Stato e di consegenza alle leggi di un altro Stato ovvero quello pontificio.https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcQfWYkLWUExyxHlOCory6WHsNkiZl_L_jNtmef3_jMhlB46L2kYrw&s Anche l’ateismo è giudicato duramente e visto con sospetto in quanto, secondo Locke e i suoi contemporanei, è la religione a fornire all’uomo le norme morali e, di conseguenza, chi non crede in Dio, è considerato privo del rispetto di tali norme e, quindi, un pericolo per la stabilità dello Stato.

Nel 1690 venne pubblicato il capolavoro di Locke, il Saggio sull’intelletto umano, il cui scopo è quello di indagare i fondamenti del sapere umano. L’oggetto del Saggio è l’intelletto, definito come il potere che la mente umana ha di conoscere, ossia di percepire idee.https://www.festivalitaca.net/wp-content/uploads/2015/03/promo-600x321.jpg

Il metodo proposto dall’autore è di indagare l’intelletto sospendendo il giudizio su ipotesi non confermate dall’osservazione. Attraverso l’introspezione l’intelletto deve dunque studiare se stesso senza entrare in questioni metafisiche.

L’intelletto deve quindi provare ad analizzare i propri contenuti di pensiero ricostruendo la loro “storia”, ossia il modo in cui sono stati acquisiti o formati; da qui arrivare poi a stabilire i criteri di certezza e di verità di ogni conoscenza umana. Il saggio si propone di mostrare come ogni conoscenza umana deriva dall’esperienza sensoriale.https://www.micurodime.it/images/psicodramma/uno.jpg

Secondo Locke l’empirismo è l’unica dottrina difendibile, poiché quella concorrente sostiene che nel nostro intelletto vi siano idee innate. Quindi il primo intero libro è una critica dell’innatismo, dottrina trionfante tra i contemporanei di Locke e che riteneva presenti nella mente umana dei principi eterni e immutabili.

L’autore, insomma, ritiene che nessuna conoscenza di alcun tipo preesiste all’esperienza: il nostro intelletto, osserva Locke in armonia con l’empirismo di matrice aristotelica e stoica, “non è diverso da ciò che si suol chiamare una tabula rasa”.

La presunta realtà di principi innati viene confutata dall’autore attraverso una serie di argomentazioni, una delle quali sostiene che se tutte le idee fossero innate dovrebbero essere presenti anche nei bambini e negli “idioti”; ma così non appare affattohttps://st.depositphotos.com/1742172/4745/v/950/depositphotos_47457871-stock-illustration-cartoon-empty-headed-woman.jpg. Inoltre tende a mostrare come sia inutile persino pensarle, poiché tutti gli uomini sono dotati di facoltà idonee a formarle da soli; anche proposizioni considerate assiomi sono conoscenze derivate dall’esperienza di casi particolari: è l’esperienza a mostrarci ad esempio che “il rosso non è il blu”https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcTe0PSwaM2Xp26BGa454In-7bJO8QBqNsYwpu29U3wjDWpVgh4Osg&s. Locke mostrerà come alcuni principi ritenuti innati trovino il loro fondamento solo nel linguaggio umano, ossia nel significato attribuito alle parole. Inoltre fa riferimento ai resoconti di navigatori ed esploratori nelle terre dei nuovi continenti per dimostrare come la diversità culturale ponga in serio dubbio la validità universale di certi principi e la presunta esistenza di un generale consenso delle genti su alcune credenze e nozioni fondamentali.http://www.lachiavedisophia.com/wp-content/uploads/2014/06/url6.jpeg

Nel secondo libro del Saggio Locke completa la critica all’innatismo, mostrando come tutti i contenuti mentali siano riconducibili a dati forniti dai sensi. E classificabili in idee semplici e complesse (o composte).

sensazione

oggettive     ⇒


soggettive    ⇒

estensione, solidità movimento


colori, sapori

idee semplici

riflessione

    ⇒ dubbio, pensiero
di modo

modo semplice⇒


modo misto⇒

Tempo, spazio, numero, libertà volere, potere


nozioni morali

idee complesse di sostanza

corporee    ⇒


spirituali    ⇒


Dio            ⇒

Idee di oggetti


Idea di IO


Idea di causa prima

di relazione causalità-identità

grande-piccolo

causa-effetto

Poiché alla nascita la mente umana è priva di contenuti conoscitivi, le idee originariamente derivano dai sensi e dalla riflessione:

Tutte le idee che derivano da queste due fonti sono semplici, non ulteriormente divisibili e scomponibili della conoscenza. Le idee semplici di riflessione ci fanno conoscere le operazioni interne di qualcosa che possiamo chiamare spirito o mentehttps://media.licdn.com/dms/image/C560BAQGW0CRUTyx9fQ/company-logo_200_200/0?e=2159024400&v=beta&t=CFoqUuRxSJnky9KZ7l4c8vCN9H8A3Knq9JTdbXrlGw0, mentre le idee semplici di sensazione ci mettono in relazione mediante il nostro corpo con il mondo esterno.https://irp-cdn.multiscreensite.com/09c7882c/import/base/img.LTE3MjEzMTQ1OTQ.jpeg 

Nel percepire le idee semplici l’intelletto è passivo, ossia non può rifiutarsi di riceverle, non può ignorarle, né può alterarle o cambiarle. Ciò prova che non può essere l’intelletto a produrle.

Riguardo alla fedeltà o adeguatezza delle nostre rappresentazioni alla realtà esterna egli recupera la distinzione tra qualità primarie e secondarie: le prime sono fondate sulle proprietà oggettive delle cose e producono in noi idee semplici come quelle di estensione, solidità, movimento che sono dunque nelle cose così come noi le percepiamohttps://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcTE9l0RKMaqF4jhwxKrpM_amS-HpAORthsucHraxphhAeaUBKtA&s; le seconde, per esempio i colori, sono soggettive e dipendono dai nostri organi di senso.https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcRbG7nARirF1yVHmytKqahKU_5p3Id2Pnhh2R1neso-QA0_p2SH5g&s

Una volta ricevuti i dati conoscitivi dai sensi, l’intelletto, combinando, confrontando o separando tra loro le idee semplici, inizia a comporre idee complesse. Benché la mente non possa dunque creare i contenuti elementari essa si attiva nella formazione di idee complesse a partire dalle idee semplici.https://cdn.pixabay.com/photo/2017/04/05/15/04/chicken-2205233_960_720.jpg

Sensazione e riflessione forniscono dunque il materiale con il quale l’intelletto costruisce il sapere complesso. Locke ritiene che esse si possano dividere in tre principali categorie:

  • I modi: idee complesse, che, per quanto composte, non contengono in sé la supposizione di esistere di per se stesse, bensì sono considerate dipendenze o affezioni delle sostanze;
  • Le sostanze: combinazioni di idee semplici utilizzate per rappresentare cose particolari e distinte, di per sé sussistenti;
  • Le relazioni: genere di idee complesse che consiste nell’esaminare e confrontare un’idea con un’altra.

Le idee di modo si dividono a loro volta in idee di modo semplice e misto: nel primo caso, si tratta della ripetizione della stessa idea semplice, nell’altro di combinazioni di idee semplici diverse.

Di particolare importanza, tra i modi semplici, sono le idee di tempo, di spazio e dei numeri. Il tempo è l’idea ripetuta di durata, che otteniamo dall’avvicendarsi delle idee nella nostra mente; lo spazio, invece, è l’idea ripetuta di distanza, che avvertiamo tra due o più rappresentazioni nella stessa percezione. Conseguentemente anche delle idee dell’infinito e di eternità non abbiamo una conoscenza diretta. Le idee dei numeri derivano dalla ripetizione dell’idea di un’unità.https://thumbs.dreamstime.com/z/tempo-e-spazio-6229895.jpg Anche l’idea di potere rientra nell’analisi del gruppo delle idee di modo semplice: potere è l’idea ripetuta di un’attività causale. L’idea del volere è l’idea di un particolare potere, attribuibile all’uomo, di iniziare un’azione sulla base di una preferenza della mente. La libertà è invece il potere di compiere o non compiere l’azione voluta.

Tra le idee di modo semplice vi sono anche quelle di bene e male, riferite rispettivamente a ciò che reca piacere e a ciò che arreca danno.

Le idee di modo misto derivano invece dalla composizione di più idee semplici diverse tra loro. È nella loro elaborazione che secondo Locke è più riconoscibile il potere attivo della mente nella formazione di conoscenze complesse. Le idee di modo misto infatti possono prescindere dal riferirsi a una realtà effettivamente esistente fuori dalla mente. A questo genere di idee appartengono tutte le nozioni morali e di valore, come la bellezza, la sincerità, l’ipocrisia, con le quali l’intelletto umano elabora esso stesso degli archetipi.

Le idee di relazione nascono invece da un confronto tra le idee dell’intelletto. Idee di relazione sono, ad esempio, grande e piccolo o debole e forte, ma anche le idee d’identità e di diversità.

La principale idea di relazione studiata da Locke è quella di causalità, per la quale due idee si congiungono tra loro, richiamandosi l’un l’altra in qualità di causa e effetto: così il calore è causa della cera che si scioglie in una candela accesa; e la cera che si scioglie è effetto del calore.https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcT0kdpPG_6Wu6LkRwYcI1bfLEuJtAg6n1Tbxmq1SdK6d2uEf5G0&s

Ma è l’indagine del secondo gruppo di idee complesse, quelle di sostanza, che costituisce il nodo problematico dell’intero Saggio, giacché sia le idee di modo, sia di relazione non sussistono di per sé ma sempre in riferimento a delle cose, o sostanze.

Locke fa riferimento ad un’accezione tradizionale, aristotelico-scolastica della nozione di sostanza, quale realtà di per sé sussistente cui ricondurre qualità e poteri, che da soli non potrebbero sussistere.https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcR2EEkh2BgFngDA6sbm8LzYsAUy8Q5Bnnb8z08q447aCHWSX91wSQ&s

Per l’autore, le idee di sostanza sorgono perché l’intelletto constata per esperienza come alcune idee semplici o certe idee di modo siano costantemente unite fra loro; e pensa che vi sia un substratum, un qualcosa, che invece esiste senza dipendere da altro e che fa loro da supporto. Ad esempio, l’esperienza mi ha mostrato che il rosso, la dolcezza, la ruvidità sono sempre in connessione con la percezione di un corpo e, poiché non possono sussistere da sole, le riferisco tutte all’idea di un unico sostrato corporeo, di un qualcosa che sia il fondamento della loro costante congiunzione.

A prescindere dalle sue proprietà e qualità sensibili, l’idea di una sostanza rimane però ignota: è semplicemente una supposizione della nostra mente che nasce dalla constatazione di “un certo numero di queste idee semplici che vanno costantemente insieme”.

Tale substratum è ignoto perché non è riconducibile a nessuna esperienza sensibile; insomma: la nostra mente combina insieme una serie di qualità, per riferirle a una sostanza che dovrebbe fare loro da supporto; ma all’interno dell’esperienza dei sensi e della riflessione non troviamo mai alcuna cono scienza diretta di questo presunto sostrato o sostanza.

Analogamente, con la riflessione non cogliamo direttamente la nostra mente, ma sempre e soltanto un io che pensa, dubita, odia ecc.https://www.ilgrafema.it/wp-content/uploads/2017/10/grammatica-nomi.jpg Ciò non significa che non “esista una qualche costituzione reale”, anzi esiste senza dubbio, visto che le idee semplici di sensazione ci mettono in comunicazione con qualcosa che è fuori dalla nostra mente; il punto è che l’uomo non può conoscere che cosa siano di per se stesse queste sostanze. Ne conosce proprietà, poteri, ma non l’essenza, che è l’attributo principale, la loro essenza intima.

Secondo Locke l’illusione di conoscere la sostanza risiede soprattutto in una falsa apparenza prodotta dal nostro linguaggio che ci porta a scambiare i nomi per le cose.

La nozione di essenza reale, che indica la proprietà costitutiva della sostanza, viene così confusa con quella puramente nominale, che è perfettamente conoscibile, perché soltanto utile a classificare convenzionalmente le sostanze in generi e specie.

sensazione

oggettive     ⇒


soggettive    ⇒

estensione, solidità movimento


colori, sapori

idee semplici

riflessione

    ⇒ dubbio, pensiero
di modo

modo semplice⇒


modo misto⇒

Tempo, spazio, numero, libertà volere, potere


nozioni morali

idee complesse di sostanza

corporee    ⇒


spirituali    ⇒


Dio            ⇒

Idee di oggetti


Idea di IO


Idea di causa prima

di relazione causalità-identità

grande-piccolo

causa-effetto

 

Nel terzo libro Locke si accorge bene che “c’è une connessione così stretta fra le idee e le parole” che è impossibile indagare la conoscenza senza prima chiarire anche “la natura, l’uso e il significato del linguaggio”. Lo stretto legame dipende dalla convinzione che le parole siano “segni delle idee”, simboli che richiamano le idee delle cose. Il linguaggio nasce dunque dalla necessità di comunicare ed è, in quanto tale, convenzionale: a tal fine i nomi rendono generali e quindi comunicabili le nostre esperienze. I nomi generali sono dunque simboli di idee complesse che si formano attraverso un processo di astrazione o separazione che elimina quelle determinazioni che fanno di ogni idea un qualcosa di unico e particolare.http://symwriter.auxilia.it/images/p026_1_04.png

Reali non sono dunque le idee generali, ma i particolari concreti che esse rappresentano. Questa posizione è detta nominalistica ed in età moderna era stata difesa già da Hobbes e Gassendi.

Le essenze nominali sono perciò perfettamente conoscibili, perché sono gli uomini a elaborare, attraverso definizioni puramente linguistiche, che si riferiscono a idee generali o astratte. Ma in questo caso l’essenza si riferisce soltanto a un’idea generale di uomo e non indica l’essenza reale, che è la natura da cui dipendono tutte le sue proprietà, concrete e individuali. A differenza di un’idea generale, l’idea di sostanza intende infatti essere qualcosa di reale, ossia il sostrato, il supporto effettivo di qualità e operazioni individuali, concrete.

L’ultimo libro del Saggio indaga limiti e gradi della conoscenza umana. Per Locke conoscere significa percepire l’accordo o il disaccordo tra idee. Egli distingue tre modalità di conoscenza, che può essere intuitiva,https://www.libero-arbitrio.it/wp-content/uploads/2014/11/intuito2.jpg se coglie immediatamente l’accordo o il disaccordo, dimostrativa,https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcQcaaUt2T7_Jo6wn38IEp3I6UIJTrRnVjfVs82NyTYsmaa3KYG3&s se concatena certezze intuitive, o sensoriale, se invece consiste nella sensazione attuale. https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcRDdzjBsx9kapBVG7BHL-BdGrYicvnxZao3uNV-rwa2ZcoL30wE&s

Tutta la nostra conoscenza più solida, secondo l’autore, dipende da queste modalità che, però, presentano gradi, limiti diversi di evidenza e confini di estensione. È evidente al massimo grado l’intuizione, mentre la conoscenza dimostrativa, le cui prove dipendono da intuizioni tra loro connesse, presenta minor chiarezza. Ma è da attribuire un’evidenza ancora minore alla conoscenza sensoriale, che rende certi dell’esistenza di qualcosa di reale ma senza dare garanzie di verità. Tuttavia Locke chiarisce che, anche il sapere più chiaro ed evidente (intuizione), ha comunque dei limiti.

Siccome, come abbiamo visto, conoscere significa confrontare idee, ecco che incontriamo il primo limite della nostra conoscenza: è impossibile avere conoscenza di ciò di cui non abbiamo idea. Ma, non soltanto la nostra conoscenza non può andare oltre le nostre idee, è perfino più ristretta di esse! Questo, il secondo limite, sta nel fatto che l’uomo non può estendere la conoscenza intuitiva a tutte le relazioni fra idee.

Laddove le idee non sono chiare e distinte, ma oscure e confuse, si vanifica la possibilità di avere evidenza intuitiva e dimostrativa. Il sapere certo ha, dunque, anche un confine ben preciso: nell’ambito della certezza, intuizione e dimostrazione riguardano soprattutto le idee, più che la realtà. Infatti i saperi come la morale, la matematica e la geometria hanno come loro oggetti idee complesse, che nascono e vengono elaborate dalla mente umana, per poi essere riferite e applicate alla realtà. Per Locke, quindi, noi non conformiamo le idee alla realtà ma, al contrario, conformiamo la realtà alle nostre idee.

La sola conoscenza che è in grado di mettere in contatto il mondo mentale delle idee e la realtà esterna è quella sensoriale, per mezzo di cui possiamo attestare l’esistenza di oggetti. Il limite della certezza sensoriale, però, è che solo l’attualità della sensazione permette di affermare con certezza l’esistenza delle cose esterne.

Noi, però, possiamo avere certezza intuitiva del nostro essere e certezza dimostrativa dell'esitenza di Dio. Possiamo, prima di tutto, essere certi del nostro io perché ne abbiamo conferma immediata e costante dall’esperienza: quando dubitiamo o, ancor di più, proviamo dolore, siamo tanto certi della nostra esistenza quanto dell’esistenza del dolore che proviamo.https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcRCYNU7E0roXv_HyZotMdrfy8EgukHYb663SBPsFvbAYe0mPX0r&s 

Ma anche l’esistenza di Dio, nonostante l’uomo non ne abbia alcuna idea innata, è perfettamente dimostrabile, in quanto, dal momento che qualcosa esiste, qualcosa deve esistere fin dall’eternità. Infatti è intuitivamente certo, proprio come nel caso del nostro esistere, che dal nulla non nasce nulla e, poiché l’uomo non ha necessità di esistere, né dall’uomo né dal nulla può aver avuto inizio la propria esistenza. La nostra esistenza ha bensì origine da Dio, l’ente che esiste necessariamente di per sé. http://www.ilmonteanalogo.it/wp-content/uploads/2018/04/dio-creatore-e1525268411740.jpg

Di Dio possiamo anche sapere che si tratta di un ente pensante, perché è causa dell’uomo che è pensante (e l’effetto non può essere più reale della sua causa), ma anche che è immateriale, questo perché, come aveva affermato anche Cartesio, è impossibile attribuire alla materia un’autonoma e spontanea capacità di agire.

Non è possibile conoscere la sostanza, e quindi l’intima essenza, non solo delle cose che esistono fuori di noi, ma anche dell’io e di Dio: il nostro sapere rimane perciò estremamente circoscritto e limitato e, di conseguenza, pur essendo sufficiente a soddisfare tutti gli scopi umani, la comprensione dell’intelletto è estremamente ridotta. Locke osserva che il nostro intelletto è come una candela, che è capace di far luce intorno a noi ma non può certo eguagliare l’intensità della luce solare.

Perfino la questione che riguarda la materialità o l’immaterialità della mente umana non è risolvibile con assoluta certezza poiché, seppure è irragionevole pensare -come Hobbes- che la materia abbia il potere autonomo di pensare, non possiamo comunque escludere che Dio, nella sua onnipotenza, abbia aggiunto al cervello questo potere eccezionale.

Oltre che di conoscenza intuitiva, dimostrativa e sensibile, Locke parla anche del vasto sapere probabile, in cui la concordanza tra idee è solo supposta. Con questo si vuole affermare che, della realtà, non si avrà mai scienza, ma soltanto conoscenza probabile. Il giudizio umano compensa, infatti, ciò di cui non può essere completamente certo soppesando diversi gradi di probabilità. https://image.slidesharecdn.com/calcolodelleprobabilita-180919203737/95/calcolo-delle-probabilita-1-638.jpg?cb=1537389621

Giunto a questo punto, Locke, rielaborando una distinzione già formulata da Boyle, individua un ambito del sapere in accordo con la ragione, un altro contrario e, infine, uno superiore alla ragione, che è proprio della fede. Egli distingue quindi tra proposizioni costruite su idee chiare e perfette, che costituiscono l’ambito della conoscenza razionale, proposizioni contrarie alle nostre idee chiare e perfette, che risultano estranee sia alla ragione che alla fede e, quindi, non hanno alcuna validità conoscitiva e, infine, proposizioni superiori alla nostra ragione, esse rappresentano l’ambito di competenza della fede, una conoscenza rivelato per via sovrannaturale, a cui la ragione, da sola, non sarebbe mai potuta pervenire. Ma, benché superiori, i contenuti della fede non sono contrari a quelli della ragione, dunque non è giustificabile, a parere dell’autore, il fanatismo religioso, che spinge a credere nell’assurdo.

Ne La ragionevolezza del cristianesimo (1689), Locke mostra come il cristianesimo, se liberato dai dogmi inutili, non sia affatto in contrasto con la ragione. Locke individua nella Fede in Cristo e nel suo messaggio salvifico l’unico dogma costitutivo di ogni cristiano; il cristianesimo è quindi ragionevole perché, seppur non può essere provato, non propone niente di irrazionale.

La conoscenza umana

si divide

conoscenza intuitiva per cui si ha:

conoscenza dimostrativa per cui si ha: conoscenza sensibile per cui si ha

certezza intuitiva

ad esempio il proprio "io"

certezza dimostrastrativa

ad esempio Dio

certezza sensibile

ad esempio del mondo esterno

tuttavia nessuno di esse ci permette di conoscere la sostanza

pertanto si ha

sapere probabile sulle sostanze del mondo fede per quanto riguarda la sostanza divina

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