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Il sito è a cura del prof. Bernardo Croci, attualmente insegnante di filosofia presso il Liceo delle Scienze Umane Galilei di Firenze.

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Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell'ascoltarla

Giordano Bruno è nato a Nola nel 1548, egli entrò nel convento dei domenicani più per studiare che non per vocazione, ivi per altro si dedica allo studio della filosofia più che della teologia. La sua vita è caratterizzata da processi e fughe. Nel 1576, infatti, Bruno getta, per così dire, l’abito e inizia a girare l’Europa anche perché braccato dall’inquisizione per le sue tesi. Da prima a Ginevra e poi in Francia dove risiede anche alla corte del re, in questo periodo Bruno manifesta una certa adesione al neoplatonismo riprende la teoria agostiniana, la quale affermava che Dio era la luce dalla quale per rarefazione si giungeva alla materia e alle creature, le quali godevano della beatitudine in base alla lontananza o vicinanza dalla luce. Bruno indica in nove gradi di ascesa alla divinità, il grado di vicinanza o lontananza da Dio, concepito come essenza incorruttibile a cui ci si avvicina come l'ombra alla luce. Nel Sigillum il filosofo recupera l'idea di emozione e di ascesa, quest'ultima culmina con l'estasi, che era il punto più elevato dell’anima umana secondo Plotino, a cui si rifanno appunto sia Agostino sia Bruno. Questa fase lascia due residui nel pensiero di Bruno 1) la credenza nella magia 2) la mancanza di comprensione del carattere scientifico della materia (Raimondo Lullo).

http://www.labirintoermetico.com/12ArsCombinatoria/tavola_coccetti.htm

Gli anni più fecondi sono quelli passati in Inghilterra presso l’ambasciatore francese tra il 1583 e il 1585. Da Londra Bruno riprende i suoi viaggi europei Parigi, Wittenberg, Praga e Francoforte. Nel 1591 però commette l’ingenuità di tornare nella penisola a Venezia, dove lo ospita un nobile mercante Mocenigo, che gli chiede di insegnargli le tecniche di memorizzazione che Bruno aveva studiato dall’opera di Raimondo Lullo e perfezionato. Tuttavia quando Bruno sta per ripartire per Francoforte nel 1592 lo stesso Mocenigo lo consegnerà all’inquisizione veneziana. Ma mentre il tribunale veneziano non pare troppo interessato alle sue idee filosofiche, lo diventa per l’inquisizione romana. Bruno è troppo famoso per permettergli di diffondere idee che sono contro la trinità e contro il cristianesimo stesso. È così che Venezia, per non inimicarsi il pontefice (era già immersa tra due fuochi l’impero a nord e i turchi a est) consegna Bruno al tribunale Romano. Il processo inizierà a Roma nel 1593 e durerà sette anni. Nel mentre nel 1596 arriva a capo del Sant’Uffizio il cardinale Bellarmino, che a differenza dei giudici veneziani, conosce e legge le opere di Bruno, ed è un sostenitore del Tomismo e proviene dall’ordine gesuita. Il confronto tra i due è serrato, più volte sembra che Bruno accetti di abiurare, ma alla fine Bruno deciderà di non ritrattare nulla delle sue teorie, e sarà condannato come “eretico impenitente pertinace.” La sua triste fine sarà il famoso rogo in Campo dei Fiori il 17 febbraio del 1600.

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Bruno è entusiasta degli scritti di Copernico e scriverà riflessioni che non solo recuperano i temi dell’astronomo polacco, ma, seguendo le riflessioni che già aveva esposto Cusano, va oltre i confini presenti nel De Rivolutionibus.

Il suo copernicanesimo è trattato nell'opera La cena delle ceneri. In questa opera Copernico è esaltato come liberatore dell'umanità, inoltre nel dialogo De l'infinito universo et mundi Bruno va oltre Copernico, ed immagina il cosmo al di là del sistema solare, sostenendo che l'universo è infinito e contiene infiniti “soli” con le loro rispettive terre. Nell'universo infinito ciascun punto è centro e circonferenza secondo Bruno dunque non vi è un solo centro. Inoltre, in antitesi alla tesi ex motu di Tommaso, sostiene che se l'universo è infinito non può ricevere il moto dall'esterno, esso appartiene alle parti.

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Bruno non condivide la gnoseologia di Telesio prevalentemente sensista: concetti come quali l'infinito non sono afferrabili con i sensi ma solo con la ragione, pertanto vi sono due gnoseologie separate una per la conoscenza sensibile una per quella concettuale. In merito alla fede afferma che essa è necessaria per governare i rozzi popoli, ma per i sapienti che si autogovernano è sufficiente la ragione. Il pensiero di Bruno inizia a farsi sempre più eretico e si discosta dalle sue tesi iniziali.

Nel dialogo De la causa, principio et uno si trova la concezione materialistica: Bruno distingue la causa dal principio, quest'ultimo agisce dall'interno, la causa dall'esterno. Rispetto all'universo Dio è principio e causa insieme, così come un nocchiero di una nave che è all'interno, ma governa dall'esterno.

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Con questa posizione si avvicina a Telesio e si pone contro Aristotele che sosteneva l’idea di materia come privazione, assenza di atto, che riceveva all’eterno. Per Bruno la materia è invece forza, e non privazione, le forze non sono divise dalla materia. Anzi la materia è il seme da cui tutte le forze si generano. La totalità dell'universo è un’unità materiale che genera un’infinità di forze. L'uomo vive le forze in un’infinità di modi, perchè percepisce le forze così come si percepiscono le diversi voci: infatti uno stesso suono può essere udito con tante modalità da persone diverse. Inoltre se l'universo è infinito non può esistere una mente al di fuori dell'infinito che altrimenti avrebbe un limite, da cui il totale abbandono dell’idea di un dio Trascendente.

Nello Spaccio della bestia trionfante Bruno riprende poi la teoria dell'amore in cui distingue quello mistico verso la divinità e quello verso la propria attività: i primi sono asini che portano simulacri (segnando completamente la sua rottura con la tradizionale idea di religione e di vita spirituale propria del cristianesimo romano), i secondi eroi che accettano la loro responsabilità. In sostanza il primo amore è in realtà una forma di disimpegno e di rinuncia, dove l’uomo scarica sulla divinità la sua prerogativa di homo agens. Per questo secondo Bruno bisogna ritornare alle antiche religioni, e abbandonare il cristianesimo che è stato solo elemento di discordia.

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Difronte alle miserie attuali scriverà nel dialogo De gli eroici furori sono possibili solo due atteggiamenti: il primo è quello del saggio che, dominate le passioni, agisce secondo virtù ed è capace di comprendere con la ragione tutto ciò che nasce e che muore; il secondo è quello della divina mania, dell'eroico furore, quello che spinge l'uomo a superare se stesso. L'eroico furore nasce da una visione opposta a quella che il cristianesimo ha veicolato, colui che beneficia del divino non vede saziata la sua fame di sapere, ma anzi prova ancora più fame e brama di sapere, la divinità infatti è la dimesione infinita. L'uomo non può che sentire la sua finitezza (fame di infinito) nel confronto con la divinità, da ciò Bruno riconosce che solo nell'eroico furore, l'attegiamento che permette all'uomo di andare al di la dei proprio limiti, che si può raggiungere qualcosa della divinità.

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Bruno si dedicherà poi alla ricerca delle "monadi", le parti che costituiscono il mondo; ma la monade non è indivisibile come l'atomo di Democrito: l'umanità è una monade se presa nel suo complesso come concetto, solo se presa come corpo (insieme di corpi) è divisibile cioè composta da tanti popoli. Cioè ogni monade è divisibile rispetto ad una funzione. Lo stesso Universo se preso nel complesso è una monade.

Bruno distingue alla base del suo pensiero tre "minimi" (componenti ultime che originano il complesso): quello matematico che è il punto, quello fisico che è l'atomo, quello metafisico-concettuale che la monade. Ogni minimo è separato da un altro minimo in virtù di un limite, da cui deduciamo che Bruno non ha l'idea del continuo. Questa posizione lo pone a mezzo tra la concezione di Democrito e quella di Leibniz.

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