Stampa
Visite: 4846

Dal il 1850 Marx inizia la stesura dell’opera Il Capitale. Con essa Marx intende dimostrare scientificamente le sue critiche agli economisti in particolare a A. Smith e D. Ricardo. Il progetto iniziale prevede la stesura di quattro libri, ma solo il primo vedrà le stampe per mano di Marx nel 1867. Il primo libro del Capitale ha come sottotitolo “Critica all’economia politica” ed è dedicato al processo di produzione del capitale, in esso troviamo la celebre teoria del valore, e la descrizione del modello di produzione capitalistico.

Il secondo e terzo libro, dedicati relativamente a “il processo di circolazione del capitale” e il “processo complessivo della produzione capitalistica” non verranno dati alle stampe da Marx, malgrado egli vi lavori fino alla sua morte nel 1883, non riterrà di aver raggiunto i risultati desiderati. Essi saranno pubblicati postumi da Engels rispettivamente 1885 e nel 1895 grazie al riordino dell’enorme mole di materiale lasciato da Marx. Un ipotetico quarto libro, sulle “teorie del plusvalore”, apparirà, a cura di Karl Kautsky, nel 1905.

Nel condurre la “critica” all’economia politica Marx vuole compiere un’opera di smascheramento del modello capitalista borghese, tale analisi gli vale il primato, per così dire, tra gli autori della così detta “scuola del sospetto” (termine coniato da Paul Ricœur che indica le filosofie di Marx, Nietzshe e Freud). Egli mostrerà come il modello capitalista è ben lungi da essere una scelta obbligata, ma è il frutto di una ben precisa organizzazione economica legata ad un certo grado di sviluppo sociale, e che le adombrate giustificazioni economiche sono solo il frutto di intrecci tra verità e posizioni di potere.

La critica condotta da Marx trova il suo perno principale nell’analisi delle merci https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcSR_Czkqmn_Lr2mrjr6leKFUafbKRJnk-36WxCJH_qFh3O-3ZoG Quest’ultime sono al centro dell’economia capitalistica che si basa appunto sulla produzione e vendita di beni attraverso il denaro che funge da merce universale di scambio. https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcRBaZeJ6pyHvWW_HIEabRHQUf6j2KHH9FB6rxj-4q9QBg3Jxdc3

Ogni merce è dotata di un valore d’uso, che è legato alla capacità di una merce di rispondere a determinati bisogni, e di un valore di scambio, ovvero, la possibilità che la medesima possa essere scambiata con altre merci ed in particolare con il denaro, che come si è detto funge da merce universale. Tuttavia, scrive Marx, il valore prodotto dal lavoro non coincide con il prezzo di una merce. La società capitalista ha, per così dire, fatto credere che il valore di una merce sia intrinseco alla merce stessa, costruendo quello che Marx definisce feticismo delle merci ma in realtà non è così. https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcRngcL3spKAbS867ob3d8w0L8dUper28paEht25tgmrp3akmmMJ

Questo è dovuto al processo di astrazione del lavoro stesso, che è trattato dal capitalista come fosse esso stesso una merce. Infatti, nel processo di definizione del prezzo di una merce, non si tiene conto del lavoro effettivamente impiegato, se il capitalista pagasse l’operaio effettivamente per il tempo che ha impiegato a produrre il bene non rimarrebbe nulla nelle mani del capitalista. Il capitalista invece paga l’operaio solo per il valore che serve a produrre il lavoro stesso, ovvero il cibo necessario al suo sostentamento all’interno della società.

Questa ridefinizione del valore delle merci così come del costo della forza lavoro è reso necessario dal modello di produzione capitalistico. Infatti il capitalista non vede della merce per comprare altra merce (secondo la formula M-D-M) ma investe del denaro in merci per creare ancora più denaro ed aumentare il capitale di partenza (secondo la formula D-M-D’ dove D’ sta per sta per più denaro di quello investito o plusvalore). Ora come è possibile generare più denaro da una quantità denaro acquistato della merce? La strada più semplice sarebbe quella di aumentare il prezzo della merce, ma questo poterebbe ad un guadagno effimero, perché se ciò viene fatto da tutti i produttori si avrebbe solo un aumento generalizzato dei prezzi, ma non un guadagno in termini di capitali, infatti il denaro richiesto in più per vedere una merce sarebbe speso in più per comprarne un’altra.

Marx spiega che il capitalista ha a disposizione due tipologie di merci acquistabili che sono il capitale costate, dato dalla somma delle materie prime e dei macchinare per lavorarli, e il capitale variabile, ovvero il denaro utilizzato a pagare il lavoratore per l’impiego della sua forza lavoro. https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcTFyLkJ1d69ozOPVaA06bSreKi0pqkQca3q3kI5ZYQsJg3QEAAKCw Mentre non è possibile guadagnare sul capitale costante è possibile farlo sul capitale variabile, ovvero sulla manodopera venduta dagli operai. Questo è possibile perché il capitalista non paga tutto il tempo che l’operaio impiega a produrre una merce, o un insieme di merci, ma solo il tempo che vale il denaro per il suo sostentamento. Se per sopravvivere un operaio necessita di lavorare quattr’ore il capitalista pagherà le quattr’ore ma al contempo chiederà all’operaio un lavoro di dodici ore per produrre il quantitativo di merce necessaria a generare il plusvalore. Possiamo affermare che il plusvalore è dato dal pluslavoro ovvero da un sopralavoro che corrisponde ad una quantità supplementare di lavoro preteso dal capitalista, ma non pagato.

[…] lo farà lavorare, supponiamo, dodici ore al giorno. Oltre le sei ore che gli sono necessarie per produrre l’equivalente del suo salario, cioè del valore della sua forza-lavoro, il filatore dovrà lavorare oltre sei ore, che io chiamerò le ore di sopralavoro, e questo sopralavoro si incorporerà in un plusvalore e in un sopraprodotto. (K. Marx, Salario, prezzo, profitto)

Con l’introduzione delle macchine è possibile aumentare la produzione risparmiando ulteriormente sul numero di operai da dover stipendiare, inoltre le macchine garantiscono una maggior produzione a parità di tempi ciò fa ulteriormente aumentare il plusvalore ovvero il divario tra il valore della produzione e quanto corrisposto al lavoratore. https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcSqD4LAhTbsZhuUTpLGC8HE2JX7Fjcs5-LY5iJNvlPeBZmm6cxr

Tuttavia Marx nota che il sistema capitalistico è tutt’altro che perfetto. Esso piò incorrere in crisi di sovrapproduzione generate dall’aumento delle merci che però in mancanza di ricchezza diffusa rimangono invendute. Nello scontro tra capitalisti si assiste infatti alla sempre maggior concentrazione di capitali e di conseguenza di ricchezza e all’esponenziale impoverimento dei lavoratori e di conseguenza dei potenziali consumatori.

Un altro elemento legato al carattere anarchico della produzione capitalistica è il rapporto tra capitale costante e capitale variabile. Il capitalista per aumentare la produzione e rimanere al passo con gli altri capitalisti è costretto ad investire sempre più in capitale costante, vedendo di conseguenza diminuire il margine di guadagno trattandosi di un costo fisso.

Queste crisi portano alla caduta (minor plusvalore) tendenziale del saggio di profitto e di conseguenza all’aumentare dello sfruttamento dei lavoratori e degli scontri tra Capitalisti, tali scontri possono anche sfociare in guerre imperialiste volte a conquistare manodopera a basso costo o guerre interimperialiste ovvero tra nazioni di capitalisti per distruggere la concorrenza. Mentre i capitalisti vincenti diventano sempre più ricchi, i capitalisti perdenti vanno ad aggiungersi al proletariato. Di fronte alla crescente povertà dei molti a favore della ricchezza di pochi non rimane che lo scontro frontale tra proletari e capitalisti, esso risulta una conseguenza dialettica necessaria del materialismo storico. http://www.umanitanova.org/wp-content/uploads/2015/03/f.jpg