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Già Socrate aveva parlato della distinzione tra l’esperienza che è sempre particolare e l’essenza che ha un carattere universale, quest’ultima rappresentava la verità e può essere colta solo con la ragione.

Platone, in buona parte influenzato dalle idee di Parmenide, afferma che il "vero" non è ciò che percepiamo con i sensi, perché il mondo sensibile varia continuamente, è in divenire come ha mostrato Eraclito, ma ciò che sappiamo mediante la ragione, ovvero qualcosa di non-sensibile, ma razionale. Possiamo affermare che il sensibile corrisponde ai casi particolari provenienti dall’esperienza che Socrate rifiutava come definizione dei valori. Mentre ciò che si coglie con la ragione è qualcosa di universale che va al di là delle singole esperienze. Mentre per Socrate l’essenza era ricercata, come ci ricorda Aristotele, sotto forma di definizione ovvero di concetto, Platone ne rivendica un’esistenza autonoma. Egli chiama le essenze eidos, di norma oggi tradotto con il termine idee, ma letteralmente “visioni”. Le idee per Platone sono i modelli delle cose ma non risiedono in esse, ad esempio una rosa può essere bella nel senso che partecipa all’idea di bellezza, ma non è l’idea di bellezza intesa nella sua universalità e purezza. https://sites.google.com/site/gb69filo/_/rsrc/1385459486836/home/la-filosofia-antica/platone/platone-la-scoperta-del-mondo-delle-idee/p1-1.jpg?height=236&width=400 Per Platone le idee devo avere le stesse caratteristiche dell’essere parmenideo ovvero quella della perfezione e dell’immutabilità, e ovviamente dell’eternità. Dunque, in Platone è presente sia un dualismo gnoseologico, ovvero conoscitivo (composto dalla coppia opinione/scienza) sia un dualismo ontologico, ovvero relativo a ciò che esiste (composto dalla coppia cose/idee).

Secondo Platone la scienza deve possedere i caratteri dell’immutabilità e della perfezione, dunque essa non può essere ricondotta al mero studio delle cose che sono mutevoli ed imperfette, benché poi faccia risalire anche queste ultime dalla perfezione. Egli afferma che le cose, gli oggetti, che noi conosciamo tramite i sensi, sono l’oggetto dell’opinione (dòxa); mentre l’oggetto della scienza (l’epistéme) sono le

      Gnosologia                                                                           ontologia    

Opinione (doxa) fondata sui sensi  ha come oggetto=> le cose e i fatti particolari mutevoli, accidentali e imperfetti
Scienza (epistéme) fondata sulla ragione  ha come oggetto=> le idee immutabili, eterne e perfette

Platone distingue due tipi di idee: le idee-valori come la giustizia, la bellezza, il bene, etc.; le idee-matematiche come l’uguaglianza, il triangolo, il quadrato, etc.. Le idee sono in continuo rapporto con le cose, infatti, esse rappresentano i criteri di giudizio delle cose e le cause delle cose. Tuttavia, come si è detto, le idee nella loro purezza non possono risiedere nel mondo sensibile e materiale che è fatto di fatti ed enti contingenti, per questo Platone afferma che le idee risiedono nell’iperuranio una sorta di luogo ideale, ovvero non materiale non fisico, che sarebbe situato al di là del mondo delle cose, letteralmente al di là del cielo. https://c1.staticflickr.com/4/3650/3664060335_0ee92640b1.jpg

In questo luogo dimora quella essenza incolore, informe e intangibile, contemplabile solo dall’intelletto, pilota dell’anima, quella essenza da cui scaturisce la vera scienza. [...] Durante questo periplo essa [l’anima] contempla la giustizia in sé, vede la temperanza e contempla la scienza, ma non quella che è legata al divenire [...], ma quella scienza che è nell’essere che veramente è. (Platone, Fedro)

Ora come è possibile conoscere qualcosa che non si trova nel mondo? La soluzione di Platone è che il processo di conoscenza sia in realtà un processo di anamnèṡi reso possibile dal fatto che l’anima prima di incarnarsi nel corpo ha contemplato le idee nell’iperuranio. Così che la conoscenza delle idee avviene per reminiscenza: cioè per il ricordo che l’anima ha delle idee. Questo è dimostrato da Platone nel Menone dove si narra del dialogo tra Socrate e Menone sulla veridicità della teoria. In questo racconto Socrate invita Menone a condurgli uno dei suoi servitori per potergli dimostrare la teoria della reminiscenza come richiesto. Socrate attraverso un serrato incalzare di domande conduce lo schiavo, che non ha conoscenza alcuna della geometria, a ricordare le idee matematiche e a dimostrare il teorema di Pitagora.

Ogni nostro apprendimento non è altro in realtà che reminiscenza (anamnesi); anche per codesta dottrina si dovrà ammettere che noi si sia appreso in un tempo anteriore quello di cui oggi ci ricordiamo. (Platone, Fedone)

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