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Il sito è a cura del prof. Bernardo Croci, attualmente insegnante di filosofia presso il Liceo delle Scienze Umane Galilei di Firenze.

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Benedetto Croce nacque a Pescasseroli il 25 febbraio 1866. Figlio di un ricco proprietario terriero di tradizioni borboniche compì i suoi studi ginnasiali in un collegio diretto da religiosi. L'evento cruciale della sua gioventù si verificò il 1883 quando durante il terremoto di Casamicciola il diciassettenne Croce perse i genitori e la sorella e rimase egli stesso ferito. Anni più tardi ricordando quell'episodio esclamò "solo per questo desidero la morte, perché allora finirò di ricordarmi di quella notte". Dopo quell'evento Croce si trasferì a Roma presso il cugino del padre Silvio Spaventa, uomo politico ed esponente del mondo culturale della Destra Storica, fratello del filosofo idealista Bertrando Spaventa. A Roma inizia gli studi di Giurisprudenza per poi passare a quelli di filosofia; durante gli studi universitari oltre a Bertrando Spaventa Croce si lega a Francesco De Sanctis e, negli stessi anni, inizia a frequentare il filosofo Antonio Labriola che lo indirizzò allo studio di Herbart e del marxismo. Dal 1886 si trasferisce a Napoli dove si dedica prevalentemente agli studi storici. A Napoli acquisterà la casa di Gian Battista Vico, del quale curò un edizione dell’opera e al quale tenderà ad ispirarsi nelle opere della seconda fase del suo pensiero. Alla fine del secolo si lega con il giovane filosofo Giovanni Gentile con cui nel 1902 fonda la Critica. Nel 1906 inizia una seconda collaborazione con la casa editrice Laterza con la quale pubblicò la maggior parte delle sue opere e per la quale curò diverse collane. Nel 1910 venne nominato senatore del regno. Tra il 1910 e il 1920 Croce e Gentile condurranno una battaglia senza quartiere contro la direzione della Società filosofica italiana fondata da Federico Enriques, che era profondamente legata allo sviluppo delle scienze, alla storia della scienza, alla matematica teorica e alla storia della fisica. La battaglia si concluse dopo la prima guerra mondiale con vittoria del fronte neoidealista di Croce e Gentile che determinerà in buona parte la marginalità degli studi scientifici in Italia per tutto il novecento. Per un breve periodo dal 1920 al 1921 fu ministro dell'istruzione nell'ultimo governo Giolitti. Dopo la rottura con Gentile, maturata già prima dell'ascesa del fascismo, Croce assume sempre più posizioni critiche nei confronti del nuovo regime fino alla stesura, dopo il delitto Matteotti, nel 1925 del Manifesto degli intellettuali antifascisti in opposizione al Manifesto degli intellettuali fascisti redatto da Giovanni Gentile. Dopo la caduta del Fascismo nel 1944 ricopre nuovamente il ruolo di ministro nel governo Badoglio e nel Governo Bonomi partecipando anche ai lavori dell'assemblea costituente. Nel 1946 rifiuta la carica di presidente provvisorio della Repubblica. Dal 1944 al 1947 assume la Presidenza del nuovo partito liberale. Nel 1946 fonda a Napoli l'Istituto italiano per gli studi storici che condurrà fino alla morte avvenuta a Napoli il 20 novembre 1952. Il peso che Croce ebbe nell'ambito della politica e della cultura italiana, si realizzò prevalentemente per mezzo del La Critica, così come attraverso le altre riviste a lui ispirate come La Voce di Giuseppe Prezzolini, e grazie alla collaborazione con la casa editrice Laterza, ma in modo ancora più significativo attraverso ila grande influenza che egli ebbe sugli insegnanti liceali, soprattutto quelli di lettere, minore invece fu il peso della sua partecipazione al Senato del Regno, così come ai governi, che lo videro partecipe, e gli schieramenti di partito a cui aderì.

Il pensiero di Croce può essere distinto in tre fasi. La prima fase che va dagli 1886 fino al 1898, in cui il filosofo abruzzese è particolarmente vicino alle tesi di Herbart e al marxismo di Labriola, nel quale egli si dedicherà prevalentemente agli studi su Marx e a quelli di estetica. La seconda fase è quella caratterizzata dalla collaborazione con Giovanni Gentile e va dalla fine dell’800 al consolidamento del regime fascista, caratterizzata da una maggior vicinanza all’idealismo e dall’allontanamento dal marxismo, in questo periodo Croce si dedica alla conclusione del suo sistema La filosofia dello spirito e alla critica letteraria alla quale, per onor del vero, dedicherà sempre un ampio spazio nella sua produzione. La terza fase e quella che vede maturare l’antifascismo e che dal punto di vista filosofico caratterizza il suo storicismo assoluto, durante questa fase nascono le suo grandi opere sulla Storia d’Italia e la Storia D’Europa nonché i suoi saggi di metodologia storica e storiografia tra cui La storia come pensiero e come azione.

Durante la prima fase Croce non sembra particolarmente attratto dall’idealismo, si dichiara distante dalle posizioni hegeliane è si avvale principalmente delle categorie herbartiana e kantiane per condurre le sue ricerche nell’ambito della filosofia della storia e della filosofia dell’arte. In questa fase sono centrali la teoria del ‘valore’ di Herbart e gli influssi della filosofia di Rickert e Dilthey che lo portano a rifiutare sia l’idea di storia di Hegel sia quella dei positivisti che intendevano ridurla alle scienze naturali. Croce aderisce anche all’idea herbartiana che l’uomo di fronte all’oggetto o cerca di intenderlo o di contemplarlo, se lo intende fa scienza cioè elabora concetti, assumendo il particolare sotto l’universale, se invece lo contempla, ovvero lo rappresenta come particolare rimane nell’ambito dell’arte e dell’estetica, dunque la storiografia, ovvero la narrazione dei fatti, non può essere scienza perché appunto si occupa di particolari come tali.

È in questa fase che egli cercherà di dimostrare che la storiografia è arte in quanto la storia è contemplazione, nel testo Storia ridotta sotto il concetto generale dell'arte del 1893 questo è ricavato appunto dal fatto che:

O si fa scienza, dunque o si fa arte. Sempre che si assume il particolare sotto il generale si fa scienza; sempre che si assume il particolare come tale si parte. Ora, noi abbiamo visto che la storiografia non elabora concetti ma riproduce il particolare nella sua concretezza; e perciò le abbiamo negato i caratteri della scienza. È dunque facile conseguenza, è sillogismo in tutta regola concludere che, se la storia non è scienza, deve essere arte. (Croce, Primi saggi).

Croce si contrapponeva in particolare al positivismo, dominante in quegli anni, e che la storia dovesse essere necessariamente intesa come una disciplina scientifica, questo lo portò elaborare questa interpretazione che tuttavia verrà abbandonato nella seconda parte della produzione crociana. Di Rickert e Dilthey apprezza invece la critica all’idea teologica della storia filosofica di Hegel. In questa fase quindi egli si colloca a pieno nel movimento storico critico che tenta di fondare le scienze dello spirito.

Nel 1895 spinto da Labriola si accende in lui l'entusiasmo per l'opera di Marx: un entusiasmo fortemente legato al travaglio politico di quegli anni. Il marxismo secondo Croce aveva contribuito a svecchiare la storiografia italiana, perché aveva permesso di guardare le lotte sociali e agli interessi materiali come dati storiografici, ma a differenza di Labriola non trovava in Marx niente che avesse a che fare con la dialettica hegeliana:

quanto alla dialettica hegeliana dei concetti, A me sembra che essa abbia una somiglianza puramente esteriore da approssimativa la concezione storica dei periodi economici e delle condizioni antitetiche della società. (Croce, Materialismo storico ed economia marxista)

Nel 1899 con lo scritto Materialismo storico ed economia marxista Croce prende le distanze dal marxismo in particolar modo dalla sua visione profetica che negava il libero svolgimento storico che per Croce è il risultato sempre della libertà dei singoli individui. A Gentile scriverà nel 1899 che I Capitale di Marx può essere interpretato solo come canone empirico e non come filosofia della storia. Malgrado l'allontanamento dal marxismo, alcune categorie marxiste resteranno centrali nella filosofia di Croce.

Proprio dal confronto tra Marx ed Hegel prende avvio la seconda fase della produzione crociana caratterizzata dall'elaborazione di una filosofia di tipo idealistico molto particolare. Il primo scritto di questa fase è l'estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale del 1902. Qui espressa la sua idea fondamentale che l'arte sia intuizione, ossia consista in un’attività teoretica dello spirito che ha per oggetto qualcosa di particolare, e non un contenuto universale. Essa è quindi un’attività conoscitiva che però precede ogni forma di concettualizzazione in quanto non coglie nulla di universale: è questo che permette all'arte di rimanere libera ovvero indipendente da ogni elaborazione concettuale che ne comprometterebbe il valore estetico.

L'arte è intuizione o visione. L'artista produce un'immagine e colui che gusta l'arte ovvero volge l'occhio al punto che l'artista gli ha indicato riproduce dentro di sé quell'immagine: si tratta dunque di una visione tutta interna al mondo dello spirito. Non c'è secondo Croce una fisicizzazione dell'arte non si può attribuire bellezza e forme artistiche alla realtà esterna e fisica questo è secondo Croce un modo infantile di approcciarsi all'arte anni più tardi nel 1912 nel breviario di estetica precisò questi termini attraverso una metafora:

come i bambini che toccano la bolla di sapone e vorrebbero toccare l'arcobaleno, lo spirito umano ammirando le cose belle si volge spontaneo a rintracciare le cagioni nella natura esterna e si prova a pensare o a credere di dover pensare come belli certi colori e brutti certi altri belle certe forme di corpi e brutte certe di altri. (Croce, Breviario di estetica)

Il processo estetico poteva essere riassunto in quattro stadi: le impressioni; l'espressione; il piacere estetico; traduzione del fatto estetico in fenomeno fisico (suono, colori, parole, ecc). Dove l'autentico momento estetico è il secondo ovvero l'espressione estetica "quando l'espressione è nata ed è completa: non ha bisogno di altro". Tutti possiamo avere un'intuizione artistica ma non tutti sono in grado di esprimere adeguatamente ed è perciò che ogni distinzione in seno al l'opera d'arte tra forma e contenuto è assurda in logica. Nell'opera d'arte forma è contenuto costituiscono quel l'intuizione che ha trovato la sua espressione adeguata. L'opera d'arte non ha mai un significato morale utilitaristico o educativo non ha nulla a che fare con l'utile, il piacere il dolore, ecc. quindi esclude da se ogni valutazione. Un'immagine potrà anche ritrarre un atto riprovevole, ma in quanto immagine non è né lodevole né riprovevole è solo bella o brutta. L'artista è moralmente incolpevole la sua moralità e la sua moralità intrinseca al suo compito alla sua missione di artista. L'identificazione di forma è contenuto porta l'identificazione del genio del gusto che fa sì che noi facciamo nostra l'opera dell'artista. Il genio che crea l'opera d'arte deve trovare perfetta rispondenza in chi la gusta, è così il momento in cui si gusta è il momento in cui si vive si ripete in noi l'intuizione cioè l'esperienza artistica.

Nel 1905 Croce elabora la logica come scienza del concetto puro. La logica rappresenta il grado di conoscenza universale. Croce distingue tra concetti Puri e pseudoconcetti: il vero concetto è la comprensione dello spirito come attività che si rivela nelle sue forme fondamentali ovvero la comprensione dell'eterno divenire, che non può in alcun modo essere colto attraverso gli pseudo concetti empirici di cui si serve la scienza, questi ultimi sono gli schemi entro i quali cerchiamo di catalogare l'esperienza e hanno solo un valore pratico. Sono utili ma non ci permettono di cogliere la realtà nel suo divenire. da questa analisi derivava anche la svalutazione delle discipline scientifiche, della filosofia della scienza, che tanto avrebbero influito nel indirizzare la cultura italiana verso gli studi classici rendendo marginali quelli scientifici.

Con la filosofia della pratica. Economia ed etica del 1909 Croce completava la sua filosofia dello spirito qui esponeva l'attività pratica dello spirito che è appunto volizione dei beni particolari e della molla della vita quotidiana, la sfera economica di cui aveva parlato Marx, che tuttavia quando si rivolge a valori universali e non più particolari diventa etica ovvero ricerca del bene. Bene che non è mai concepibile come una conquista definitiva ma solo come un continuo miglioramento dello spirito.

Sì completata con quest'ultima opera il sistema crociano caratterizzato dalla divisione in due livelli: l'individuale e l'universale, il sentito e il pensato.

l'intuizione ci dai il mondo, il fenomeno: il concetto ti da il numeno, lo Spirito... come l'intuizione estetica conosce il fenomeno e la natura, e la filosofia il numero o lo Spirito; così l'attività economica vuole il fenomeno e la natura, e quella morale il numeno, lo Spirito.(Croce, Estetica).

Riassumendo l'attività dello Spirito per Croce si manifesta attraverso due forme quella teoretica e quella pratica. Queste due forme si distinguono a loro volta in due gradi a seconda che si rivolgano al particolare o all'universale. La teoretica è logica quando si rivolge alla conoscenza dell'universale, quando invece è rivolta al particolare è estetica ovvero conoscenza immediata attraverso l'intuizione. La logica si fonda sulla categoria del Vero, mentre l'estetica sulla categoria del Bello. L'attività pratica quando si rivolge al bene universale è etica, quando si rivolge all'interesse particolare è economia, ovvero utile: ne segue che la categoria dell'etica e il Bene e quella dell'Economia e l'Utile. https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/9/93/Nesso_dei_distinti_nell'idealismo_crociano.png

Veniva in questo modo superata la tanto odiata distinzione triadica della dialettica hegeliana. Ma veniva anche superata l'idea hegeliana che lo Spirito fosse vincolato ad una catena determinata di opposizioni, tesi ed antitesi, con un fine prestabilito, infatti nella filosofia crociana le quattro forme dello spirito non confliggono e non si risolvono l’una nell’altra, ma si articolano liberamente attraverso dei nessi rimanendo distinte.

Le forme o categorie della realtà e dello Spirito, i valori Supremi, erano state nel corso dei secoli quasi per un consensus gentium, raccolte nella triade del vero, del bene e del bello, che a me parve da integrare con un quarto termine, l'utile o economico o il Vitale o come altri voglia chiamarsi... Le forme dello spirito, essendo tutte necessarie sono tutte necessariamente di pari dignità, e non sopportano se non un ordine di successione e di implicazione che non è gerarchico, perché la circolarità o circolazione della vita spirituale nessuna di esse dall'assoluto inizio e nessuna il termine assoluto. (Croce, Filosofia e storiografia).

lo spirito universale si sviluppa eternamente in queste quattro forme in un divenire dialettico che costituisce appunto la dialettica dei distinti, in quanto fra di loro non si escludono ma Si implicano, sono in rapporto di unità-distinzione, non vi può essere un'attività conoscitiva senza l'atto pratico che la accompagni; in ogni atto di conoscenza è sempre implicito un atto di volontà; lato teoretico non è mai esclusivamente teoretico anche se lo è per la maggior parte. Ogni atto dello spirito implica tutti gli altri. L'opposizione si avrà allora nell'ambito di ogni forma e così avremo: nell'etica il contrasto tra il bene e il male, nell'economia il contrasto tra utile è dannoso, nella logica tra il vero e il falso, nell'estetica tra il bello e il brutto.

In questa fase Croce aderisce progressivamente ad una parte del pensiero di Giambattista Vico affermando diversamente da quanto aveva fatto in precedenza che la storia e la risultante di tutte le attività dello spirito, la storia tutto ciò che gli uomini fanno in questo continuo divenire da ciò consegue che la filosofia è la storia cioè la manifestazione delle diverse forme dello spirito ma non in modo determinato come in Hegel, ma liberamente da cui segue che la categoria universale dello spirito è la libertà, non a caso Croce parlerà di "religione della libertà" in merito alla sua riflessione.

solo la storicità è adeguata al processo del reale, ma la storicità nel suo libero moto, non quale lo Hegel la presentava incatenata nel suo sistema, e non quale egli in quel sistema la dichiarava pervenuta al suo termine è conclusa; e solo la logica della conoscenza storica è adeguata al pensiero, il che porta per conseguenza l'abbandono dei sistemi definitivi e la loro sostituzione con le storiche sistemazioni che sempre si ampliano e si arricchiscono insieme con l'ampliarsi e l'arricchirsi della vita. (Croce, Filosofia e storiografia).

Per quanto riguarda la terza fase del pensiero crociano essa va legata al suo rinnovato impegno politico. Mentre in precedenza aveva sempre sostenuto la distinzione tra attività filosofica e culturale ed attività politica, tanto da meritarsi l’appellativo di intellettuale erasmiano chiuso nella sua torre d’avorio, progressivamente di fronte al precipitare dei fatti legati alla violenza fascismo rivide tale posizione. Se Croce tra il 1919 e il 1924 aveva giustificato le azioni violente del fascismo per ristabilire l’ordine sociale, dalla stesura del Manifesto antifascista egli diventa progressivamente un punto di riferimento per l’opposizione interna. Il messaggio di libertà di Croce è fortemente legato all’evoluzione della sua teoria sullo storicismo ed è proprio in virtù di questo che la maggior parte dei giovani intellettuali individuano nell’opera La storia come pensiero e come azione un manuale di libertà e di antifascismo.

Il suo storicismo si fondava sempre più sulla consapevolezza storica dell’individuo che è soggetto agente della società e può esprimersi con libertà: «la storia umana è sempre storia di libertà», intendendo la libertà come coscienza morale, come legge suprema che include, necessariamente, un legame col mondo e non un’evasione o una diserzione da esso, perché in tal caso non si perviene alla libertà ma al vuoto e alla morte, perché «individuo e situazione sono un tutt’uno».

Il grande messaggio crociano sta, di contro alla demagogia collettiva fascista, nel rivendicare la libertà del singolo in relazione al suo agire nella vita seguendo il proprio sentire morale. Con questo messaggio egli indicava che la moralità doveva essere una caratteristica sia degli uomini di governo sia dei loro avversari, e che questi ultimi più dei primi, in qualità di oppositori, dovevano contribuire alla realizzazione del progresso e dello sviluppo della società. Già nel ’24 Croce, ormai in piena rottura con Gentile, che risolveva tutto nello Stato come momento dello Spirito, scriveva nella “Critica” che :

anche all’interno degli Stati gli individui sono morali o immorali non in quanto obbediscono o si ribellano al governo del tempo, ma in quanto tali sono nel loro intrinseco o nella loro coscienza (Croce, La Critica)

Croce, rispetto ai primi anni, ha dunque modificato la sua filosofia riscoprendo la necessità di mettere al centro l’individuo e insistendo sul suo aspetto volontaristico. Questa traslazione è visibile anche rispetto alla prima stesura della “Filosofia dello Spirito”. Croce nella prima stesura, enunciando la sua teoria dei distinti e individuando quattro gradi di conoscenza, estetica, filosofica (attività teoriche), economica e etica (attività pratiche) esclude la preminenza di una delle quattro forme dello Spirito sull’altra ed anzi ne sottolinea “l’implicazione unilaterale”. Tuttavia Croce proprio a partire dalla sua condizione di tollerato dal regime fascista, ma sorvegliato per lunghi periodi dalla polizia, che soffre nel profondo la crisi generale, morale, intellettuale e politica dell’Europa del tempo, dopo un periodo di isolamento in cui egli rimanda ad un “mondo avvenire”, si impegnerà nel 1938 a

trovare le ragioni di quel che accadeva; di superarle in una proiezione teoretica e storiografica che, senza indulgere ad ingenue sicurezze e ingenui ottimismi, ridesse slancio di prospettiva nuova agli ideali e ai bisogni morali e civili ora scossi da una crisi così rapida e grave (Croce, Storia del Regno di Napoli)

Per Croce ora al centro della vita dell’individuo c’è sopra ogni altra forma di storia la storia “etico-politica”, questa avrà come diretta conseguenza l’innalzamento della forma morale a valore assoluto. Una tale nuova visione della storia si dispiega come:

il processo dialettico onde il pensiero storico nasce da un travaglio di passione pratica, la trascende liberandosene nel puro giudizio del vero e, mercè di questo giudizio, quella passione si converte in risolutezza di azione (Croce, Storia come pensiero e come azione)

Il 18 settembre del 1933, Croce inviava una lettera di denunzia al Ministro Francesco Ercole sulla censura del suo: “Libricino intorno ai principi dell’estetica”. Nella medesima, Croce denunciava anche altri quattro fatti rilevanti: la circolare del Ministro Ercoli che esortava i “capi degli istituti scolastici” a recidere l’abbonamento alla Critica; l’intimidazione ad un insegnante (Prof. Giuseppe Lombardo Radice del quale allora fu anche soppressa la rivista che pubblicava dal titolo: “L’Educazione nazionale") accusato di aver pubblicato una nota in difesa di alcuni giudizi letterari del Croce; la cancellazione del nome di Croce da un asilo infantile a lui dedicato e la sospensione del ruolo di curatore dell’Archivio storico napoletano.

Quello che a una lettura parziale può sembrare una semplice lettera in difesa del suo operato, si dimostra invece essere un messaggio per tutti a manifestare contro gli abusi e la censura del regime. Ciò è ben visibile dalla conclusione della lettera dove si richiama proprio quel “dovere morale formale” che è alla base della concezione etica di Croce; infatti qui, pur sottolineando l’inutilità delle sue rimostranze, ne indica l’importanza che è quella di esercitare un dovere civile; e così scrive:

Perché dunque tutto ciò?. L’E.V. dirà: perché io sono di coloro che tengono opinione diversa da quella del presente regime politico. E’ vero: io sono stato e sono oppositore aperto di esso e, potrei aggiungere leale, avendo resistito fin dall’inizio alle sollecitazioni di coloro, tra i quali sono alti luminari del regime, che volevano che io mi unissi con essi per fare, come dicevano, “l’opposizione dall’interno” della compagine e promuovere la riforma o la dissoluzione. Io non ho mai scherzato con i giuramenti che si prestano. Ma la politica è un conto, e la filosofia, l’estetica, la storiografia, le indagini di storia medioevale sono un altro [...] . E perché mai, se già conosco la risposta che mi farebbe l’ E.V., le scrivo questa lettera? Non certo per domandarle spiegazioni e neppure per chiederle di cambiare atteggiamento verso le cose mie, o di riprendere quello più pacato dei suoi predecessori, che pure erano uomini del regime. Gliela scrivo perché sentirei di mancare ad un dover se a tutto ciò mi accanissi senza protestare (Croce, Pagine politiche).

L’impegno di Croce per la difesa della libertà della cultura, è testimoniato anche dalla corrispondenza con Giovanni Laterza, con cui si batte dal ’38 al ’42 per la pubblicazione di numerose opere, dalla “Concezione materialistica del Labriola” alla “Storia come pensiero ed azione”; approposito del sequestro della “Storia d’Europa” del Fischer (che attaccava con forza Hitler e il nazionalismo tedesco); sulle opere di autori di origine ebraica, che comprendevano numerose opere classiche fondamentali come i “Dialoghi d’amore” di Leone Abarbanel; sulla soppressione della “Critica” e sul divieto di divulgazione del libro di Artur Eddington “La filosofia della scienza fisica”, fino alle battaglie per la pubblicazione delle due grandi opere “L’opera filosofica storica e letteraria di Benedetto Croce” e la settima edizione della “Storia d’Italia”. Con queste lettere Croce rende più che manifesto il suo ruolo di difensore della libertà, dando concretezza alle sue idee sul valore etico e morale dell’agire individuale.

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