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https://blog.libero.it/wp/lasaggezzadidio/wp-content/uploads/sites/16381/2019/09/Qual-è-la-natura-dell’amore-di-Dio.jpg

Da questa condizione secondo Kierkegaard si esce solo tramite la fede, la vita religiosa, che parte dal presupposto che l’uomo riconosce la propria insufficienza. La stadio religioso equivale all’affidarsi a Dio, scegliere dio significa scegliere la possibilità stessa, in quanto in Dio tutto è possibile, egli è la possibilità delle possibilità. Contro la telefonia hegeliana Kierkegaard sostiene che l'incontro con Dio avviene nell'attimo e non nell'evoluzione storica dello Spirito http://4.bp.blogspot.com/_FJ-Lju1k1ic/TE3_Nu7u66I/AAAAAAAAC2U/08hryxZZS1s/s1600/Volontà+di+Dio.jpg; il cristianesimo è un fatto storico solo per chi ha fede, non vi è differenza tra chi è stato testimone oculare della discesa del Cristo rispetto a chi compie la scelta religiosa secoli più tardi; il rapporto con Dio si instaura nell'attimo, esso è l'improvvisa discesa della verità divina nell'uomo. La Fede è un rapporto privato tra l'uomo e Dio e dunque è il dominio della solitudine. https://www.filomenasimone.it/media/k2/items/cache/9b2c4b44fb86522964124ed80d03c5e8_XL.jpg

L'idea di fede che ha Kierkegaard è completamente diversa dalla tradizione della teologia razione occidentale che si fonda sulle virtù teologali fede, speranza e carica https://4.bp.blogspot.com/-7p-PjGVkGF4/WrtRs8K5ofI/AAAAAAAACvg/ojSEycAlUSAR-q1ohS3WAYPWEoRNxBa4ACLcBGAs/s1600/pol-virtu-01.jpg infatti per il pensatore danese la fede si manifesta innanzitutto nella disperazione cioè quando il singolo vede la propria individualità assoluta separata dal tutto e in quel momento che si pone la possibilità di scegliere Dio. https://aforismimania.it/wp-content/uploads/2017/03/Aforismi-sulla-disperazione-e1490879342181.jpg

Kierkegaard, in continuità con l'ortodossia protestante, l'individuo è completamente sottomesso all'assoluto, ma al tempo stesso è in dialettica con esso, un dialogo solitario tra l'individuo e Dio https://www.farodiroma.it/wp-content/uploads/2017/07/Preghiera-e1500548089609.jpg cioè una modalità completamente diversa dal cattolicesimo che si fonda invece su pratiche e riti a cui può partecipare chiunque anche chi non ne comprende il significato. https://st.ilfattoquotidiano.it/wp-content/uploads/2020/05/07/messa-1200-690x362.jpg

La fede si caratterizza non solo come solitudine, ma anche come sospensione teologica dell'etica, perchè non vi è un fine, un telos, che l'uomo può in qualche modo perseguire, se fine vi è questo è noto solo a Dio. Da ciò segue l'impossibilità di credere affidandosi alla ragione, non esiste un argomento a favore della fede essa è pertanto assurda, contraria al senso comune è scandalosa perchè può collidere con quelle che sono le categorie morali dell'uomo.

Come la scelta religiosa non segue ragioni, così la fede cristiana è paradosso https://daniloperini.files.wordpress.com/2016/06/img_4611.jpg: essa propone di credere in un Dio che muore, affidando la responsabilità di credere a un essere che è nulla rispetto a Dio, e dal quale può soltanto ricevere, compresa la fede stessa. La fede per Kierkegaard è un’irruzione del divino nella vita del singolo, come l’Incarnazione è l’irruzione dirompente dell’eterno nel tempo.

Infatti, scegliere Dio ovvero scegliere la possibilità di tutte le possibilità vuol dire scegliere anche tutto ciò che è paradossale, quindi l'unica certezza nella scelta di Dio e l'angoscia stessa.  Le richieste di Dio al singolo sono valide sono per il singolo, non hanno alcuna validità universale, non anno a che fare con l'etica e la morale. L'uomo è solo di fronte alle richieste di Dio e da solo deve scegliere se affidarvisi meno, ecco perché scegliere Dio non è una scelta rassicurante malgrado sia l'unica possibile.

La fede sottolinea Kierkegaard: è un salto https://www.awme.it/wp-content/uploads/2019/04/jump.jpg, un rischio; è un rischio nel senso che essa deve essere assunta in modo assoluto, senza alcuna prova o garanzia, anzi contro tutte le apparenze e le ipotesi. Questo perché l'oggetto essenziale della religione non è la verità o la validità di ciò che si crede, ma come si crede è il modo d'essere del credente ovvero il suo coraggio il suo impegno la sua disponibilità assoluta.
La Fede consiste nello scegliere con la passione dell'infinitezza ciò che è oggettivamente incerto, per questo il credente esemplare per Kierkegaard in Timore e tremore è la figura di Abramo il quale accetta con ubbidienza e partecipazione totale l'ordine Divino di uccidere il figlio Isacco https://assetsnffrgf-a.akamaihd.net/assets/m/1101978067/univ/art/1101978067_univ_lsr_md.jpg: un ordine che testimonia traumaticamente l'irriducibile differenza tra la ragionevolezza della morale e l'imperscrutabile scandalo della fede. Non c'è nulla che ci garantisce che stiamo effettivamente compiendo la volontà di Dio: nessuno rassicurerà mai Abramo che quello che ha udito e quello che ha compreso è veramente la volontà di Dio.

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Abramo secondo Kierkegaard

Era di prima mattina, Abramo si alzò per tempo, fece sellare gli asini, lasciò la sua tenda e prese Isacco con sé; dalla finestra Sara li seguì con lo sguardo che s'inoltravano nella valle finché non li perdette di vista. Camminarono tre giorni senz'aprir bocca; la mattina del quarto giorno Abramo non disse parola ma, alzando gli occhi, vide in lontananza il monte Moria. Rimandò indietro i servi e solo, tenendo Isacco per mano, sali il monte. Ma Abramo diceva a se stesso: «Non posso nascondere a Isacco dove porta questo cammino». Si fermò, pose la sua mano sul capo di Isacco in segno di benedizione e Isacco s'inchinò per riceverla. Il volto di Abramo era soffuso di paternità, il suo sguardo mite, il suo discorso incoraggiante. Ma Isacco non riusciva a capirlo, la sua anima non poteva elevarsi; egli abbracciò le ginocchia di Abramo, si gettò ai suoi piedi, supplicò per la sua giovane vita, per le sue belle speranze; ricordò la gioia della casa di Abramo, ricordò la tristezza e la solitudine. Allora Abramo rialzò il ragazzo e prendendolo per mano si rimise in cammino, le sue parole traboccavano di consolazione e di esortazione. Ma Isacco non poteva comprenderlo. Abramo salì il Moria, ma Isacco non lo comprese. Abramo voltò da lui per un momento lo sguardo, ma quando Isacco rivide il volto di Abramo, esso era mutato: il suo sguardo era selvaggio, la sua figura un orrore. Prese Isacco per lo stomaco, lo gettò a terra dicendogli: «Sciocchino, credi tu ch'io sia tuo padre? lo sono un idolatra. Credi tu che questo sia un ordine di Dio? No, è un mio capriccio». Isacco trasalì e gridava nella sua angoscia: «Dio del cielo abbi pietà di me, Dio di Abramo abbi pietà di me; se io non ho un padre sulla terra, sii tu mio padre!». Ma Abramo diceva parlottando con se stesso: «Signore del cielo, è meglio ch'egli mi creda un mostro piuttosto che perda la fede in te».

Quando il bambino dev'essere svezzato, la madre si tinge di nero il seno, perché sarebbe riprovevole ch'esso apparisse ancora delizioso quando il bambino non lo deve avere. Così il bambino crede che il seno è mutato, ma la madre è la meaesima, il suo sguardo è amoroso e tenero come sempre. Beata colei che non ha bisogno di mezzi più terribili per svezzare il bambino! (S. Kierkegaard, Timore e tremore (1843), Rizzoli, 1972).

... Ed egli tagliò la legna, legò Isacco, e accese il rogo: trasse il coltello - e lo vibrò su Isacco!

Nello stesso istante Dio appare in forma corporea ad Abramo e gli dice: "Che fai, povero vecchio? Non pretendevo da te una cosa simile! Tu eri il mio amico, ed io volevo solo provare la tua fede. Anche all'ultimo momento ti ho gridato: 'Abramo, Abramo, férmati!' ".

Allora Abramo rispose con una voce ch'era della debolezza solenne propria dell'adorazione, e al tempo stesso della debolezza accasciata, propria della pazzia: "Oh, Signore, questo non l'ho udito. Ma ora che me lo dici, anche a me sembra di aver sentito una voce di quel genere. Oh, ma quando sei Tu, o mio Dio, che lo ordini, Tu che ordini ad un padre di uccidere il suo proprio figlio: in quel momento ci si sente un po' tesi: perciò non sentii la Tua voce. E se l'avessi sentita, come avrei osato credere che fosse la Tua? Quando Tu mi ordini di sacrificare mio figlio, e all'ultimo momento si sente una voce che dice: 'Férmati!' dovetti credere evidentemente ch'era del tentatore che voleva trattenermi dall'adempiere la Tua volontà. Una delle due: o avrei dovuto pensare che quella voce che mi diceva di sacrificare Isacco fosse del tentato re; e allora non mi sarei messo in cammino. Ma siccome mi assicurai che quella era la Tua voce, allora dovetti concludere che l'altra era del tentatore".

Poi Abramo fece ritorno a casa, e il Signore gli diede un secondo Isacco. Ma Abramo, guardandolo, non si mostrava mai contento. Quando lo guardava, scuoteva la testa e diceva: "Non era questo quell'Isacco!".

Ma a Sara egli disse: ' 'Fu però una cosa strana che sia stato Iddio a volere ch'io sacrificassi Isacco: questo era certo, eternamente certo, Dio stesso non lo può voler negare. E quando poi io lo feci per davvero ecco che era uno sbaglio da parte mia: non era più volontà di Dio ... ". (S. Kierkegaard, Diario, 1851-52).

... E Abramo sali sul monte Moria con Isacco. Egli decise di parlare ad Isacco ... - e riuscì a persuadere Isacco che era volontà di Dio, e cosi Isacco è disposto a lasciarsi sacrificare.

Tagliò la legna, legò Isacco e accese il rogo ... - baciò un'ultima volta Isacco. Non erano più come padre e figlio; no, ma come amico ed amico, ambedue figli ubbidienti al cospetto di Dio. Impugnò il coltello ... e lo cacciò in Isacco.

Nello stesso momento Dio, in forma corporea, apparve a lato di Abramo e gli disse: "Vecchio, vecchio mio, che hai tu fatto? Non hai sentito le mie parole, non hai sentito quel ch'io gridavo? 'Abramo, Abramo, fermati'?".

Ma Abramo rispose con una voce che in parte aveva l'accento della sottomissione, e in parte quello della pazzia: "No, Signore, non l'ho sentita. Grande era il mio dolore, tu lo sai bene, perché tu sai dare la cosa migliore e la sai anche esigere. Però il mio dolore fu mitigato perché Isacco comprese e nella gioia di essere d'accordo con lui, non ho affatto sentito la tua voce. Fui io stesso, persuaso di fare l'ubbidienza, che cacciai il coltello nella vittima ubbidiente".

Allora Dio risuscitò Isacco. Ma, chiuso in un muto dolore, Abramo rimuginava fra sé e sé: "Però non era questo quell'Isacco!" E in un certo senso neppure lo era, perché per aver compreso ciò che Isacco comprese sul Monte Moria, di essere cioè stato scelto da Dio per vittima, era egli in un certo senso diventato un vecchio, vecchio come Abramo, non era del tutto quell'Isacco, e soltanto per l'eternità essi erano fatti veramente l'uno per l'altro.

Dio lo previde, ed ebbe misericordia di Abramo e fece, come sempre, andare tutto bene, infinitamente meglio che se non fosse successo quell'errore. C'è, diss'Egli ad Abramo, un'eternità; tra poco tu sarai eternamente congiunto a Isacco dove in eterno voi sarete fatti l'uno per l'altro. Se tu avessi sentito la mia voce, se ti fossi fermato: avresti allora avuto Isacco per questa vita - ma l'affare dell'eternità non ti sarebbe diventato chiaro. Tu sei andato troppo in là, mi hai guastato tutto ... : però io faccio che la cosa vada ancora meglio che se tu non fossi andato tant'oltre. C'è un'eternità! (S. Kierkegaard, Diario, 1853).