La dottrina dell’anima di Platone è strettamente connessa alla teoria della reminiscenza. Infatti per poter ricordare le idee deve esservi stato un momento in cui l’anima ha condiviso lo stesso luogo delle idee. La capacità da parte dell’intelletto di ricordare le idee dimostra che l’anima è della stessa natura delle idee, quindi immortale. Nel Fedone Platone utilizza tre argomentazioni per dare prova dell’immortalità dell’anima:
il primo afferma che essendo il principio che vivifica il corpo non può accogliere al suo interno il suo opposto la morte:
«E allora rispondi a questo: che cosa occorre perché un corpo sia vivo?»
«L'anima penso,» rispose.
«Ed è sempre così, per caso?»
«Ma certo.»
«L'anima allora, in qualunque cosa entri, porta sempre la vita?»
«Sì, certamente.»
«E c'è il contrario della vita o no?»
«Sicuro che c'è,» disse.
«E cos'è?»
«La morte.»
«Non è forse vero, allora, che l'anima, stando a quel che abbiamo ammesso prima, non può mai contenere il contrario di ciò che reca con sé?»
«Senza alcun dubbio,»
Il secondo afferma che non potendo accogliere la morte come suo opposto deve essere immortale:
«Ancora? Ciò che non riceve l'idea del Pari, com'è che lo abbiamo chiamato poco fa?»
«Dispari,» ammise.
«E ciò che non accoglie l'Idea del Giusto o quella della Cultura?»
«Ingiusto il primo e Incolto il secondo,» rispose.
«E ciò che non può avere in sé l'Idea della Morte, come dobbiamo chiamarlo?»
«Immortale,» disse.
«E l'anima, forse, non ha in sé la Morte?»
«No.»
«Ma, allora, l'anima è immortale.»
«Sì, immortale.»
Il terzo argomento che essendo l’anima immortale non può essere distrutta e quindi non può morire:
riprese Socrate, «se il Dispari fosse indistruttibile, non sarebbe, di conseguenza
indistruttibile anche il tre?»
«E come no?»
«E se anche il Freddo fosse indistruttibile, se alla neve si accostasse il Caldo, questa non si ritirerebbe intatta senza sciogliersi? Infatti, essa non potrebbe distruggersi né, d'altra parte, star lì ferma a ricevere il calore.»
«È vero.»
«E così pure se fosse il Caldo ad essere incorruttibile e al fuoco si avvicinasse il Freddo, certo esso non potrebbe estinguersi o morire, ma se ne andrebbe via intatto.»
«Per forza.»
«E, così, non è lo stesso per ciò che è immortale? Se l'immortale è indistruttibile, non è possibile che l'anima muoia, quand'anche le si avvicinasse la Morte; infatti, per quanto s'è detto, essa non accoglierà la Morte, né sarà un'anima destinata a morire, così come il tre, dicevamo, non sarà mai pari e tanto meno il fuoco può essere freddo».
Resta da spiegare perché l’anima si trovi in un corpo mortale sulla terra, a tal proposito Platone nel Fedro ci racconta il destino dell’anima. Essa è paragonata ad una biga alata che orbita intorno all’Iperuranio contemplando le idee. Essa è composta da tre componenti l’auriga che rappresenta la ragione e da due cavalli uno bianco che rappresenta la parte coraggiosa e segue la ragione verso la contemplazione delle idee, uno nero che rappresenta la componente concupiscibile o desiderante legata alle cose materiali e agli impulsi che vi oppone ai comandi. Il compito dell’auriga è quindi estremamente difficile, se egli riesce a governare i due cavalli l’anima rimane nell’Iperuranio se non vi riesce essa perde le ali e cadendo si aggrappa al corpo dando origine all’essere mortale.
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Si immagini l'anima simile a una forza costituita per sua natura da una biga alata e da un auriga. I cavalli e gli aurighi degli dèi sono tutti buoni e nati da buoni, quelli degli altri sono misti. E innanzitutto l'auriga che è in noi guida un carro a due, poi dei due cavalli uno è bello, buono e nato da cavalli d'ugual specie, l'altro è contrario e nato da stirpe contraria; perciò la guida, per quanto ci riguarda, è di necessità difficile e molesta. Quindi bisogna cercare di definire in che senso il vivente è stato chiamato mortale e immortale. Ogni anima si prende cura di tutto ciò che è inanimato e gira tutto il cielo ora in una forma, ora nell'altra. Se è perfetta e alata, essa vola in alto e governa tutto il mondo, se invece ha perduto le ali viene trascinata giù finché non s'aggrappa a qualcosa di solido; qui stabilisce la sua dimora e assume un corpo terreno, che per la forza derivata da essa sembra muoversi da sé. Questo insieme, composto di anima e corpo, fu chiamato vivente ed ebbe il soprannome di mortale.
Una volta che l’anima si è unita con il corpo essa dimentica di aver conosciuto le idee. Platone ci racconta attraverso il mito di Er come l’uomo scelgli il proprio destino, esso avviene in parte per sorteggio ma in parte in base a come si è condotta l’esistenza precedente, anche chi sceglierà per ultimo potrà scegliere una vita degna se compirà la scelta con saggezza, se avrà imparato cosa ha veramente valore durante la sua vita precedente.
Er disse che valeva la pena di vedere lo spettacolo delle singole anime intente a scegliere la propria vita: uno spettacolo compassionevole, ridicolo e singolare, dato che per lo più sceglievano in base alle abitudini della vita precedente. Raccontò di aver visto l'anima che era stata di Orfeo scegliere la vita di un cigno per odio verso la razza delle donne, poiché era morto per mano loro e quindi non voleva nascere dal grembo di una donna. Vide poi l'anima di Tamira scegliere la vita di un usignolo, ma vide anche un cigno e altri animali canori scegliere di trasformarsi in uomini.
L'anima sorteggiata per ventesima scelse la vita di un leone: era quella di Aiace Telamonio, che rifuggiva dal nascere uomo, ricordando il giudizio delle armi.(38) Dopo questa venne l'anima di Agamennone: anch'essa detestava il genere umano per le sofferenze subite, e prese in cambio la vita di un'aquila.(39) L'anima di Atalanta era invece capitata in sorte nei turni intermedi, e avendo visto i grandi onori riservati a un atleta non seppe passare oltre, ma scelse quelli. Poi vide l'anima di Epeo, figlio di Panopeo, assumere la natura di una donna laboriosa; lontano, tra le ultime, scorse l'anima del buffone Tersite entrare in una scimmia. Venne infine a fare la sua scelta l'anima di Odisseo, che per caso era stata sorteggiata per ultima; essendo ormai guarita dall'ambizione grazie al ricordo dei travagli passati, andò in giro per parecchio tempo a cercare la vita di uno sfaccendato qualsiasi, e a fatica ne trovò una che giaceva in un canto ed era stata trascurata dagli altri. Quando la vide disse che avrebbe fatto lo stesso anche se fosse stata sorteggiata per prima, e tutta contenta se la prese (Platone, Repubblica).
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L'anima è dunque un demone incarcerato nel corpo e soggetto a un certo ciclo di reincarnazioni dalla quale aspira liberarsi; è soprattutto per questo aspetto che si coglie il debito platonico nei confronti dell’orfismo dei pitagorici. L'anima aspira, infatti, alla propria purificazione ed emancipazione dal corpo, alla contemplazione delle idee perfette e al distacco da quella imperfetta realtà sensibile che ostacola tale contemplazione. Per questo il vero filosofo non teme di morire, la morte implica l'abbandono del corpo che è una sorta di carcere per l'anima e il conseguente ritorno al mondo delle idee. Pertanto la ricerca rigorosa e disinteressata della verità, l'esercizio della virtù sono per Platone una forma di preparazione alla morte, in tal modo si potrà permettere all'anima di risiedere sempre più maggiormente nel mondo delle idee, e di scegliere con maggior saggezza il futuro destino.
Ci appare chiaro e manifesto che, se mai vorremo conoscere alcuna cosa nella sua purezza, bisognerà spogliarci del corpo e guardare con solo la nostra anima pura la pura realtà delle cose. (Platone, Fedone)