Credevo che il lavoro fosse quasi ultimato, ma in maggio ebbi una crisi intellettuale [...]. Cantor aveva dimostrato che non esiste il numero più grande https://www.focus.it/site_stored/imgs/0003/010/00791935_contrasto_preview.630x420.jpg, e a me pareva che il numero di tutte le cose nel mondo dovesse essere il più grande possibile. https://www.extrabyte.info/00vbxzr167.gif Perciò cominciai a esaminare la sua dimostrazione con grande minuzia e mi sforzai di applicarla alle classi di tutte le cose esistenti. Questo mi portò a considerare quelle classi che non sono membri di se stesse e a chiedermi se la classe dei tali classe è o no membro di se stessa. Trovai che in ogni caso la risposta implica il proprio contrario. (Russell, Autobiografia)
Sulla base del sistema elaborato da Frege, Bertrand Russell cercò di trovare una riformulazione dei problemi che sorgevano dall’applicazione del principio di composizionalità https://pianetabambini.it/wp-content/uploads/2018/12/Esercizi-Insiemi-3.png, nel fare questo nel 1901, si accorse applicando le proprietà logiche alla teoria degli insiemi (che Frege aveva messo alla base della sua riformulazione del linguaggio) che s’incorreva in un paradosso apparentemente insuperabile. Russell si rese conto che la filosofia della matematica di Frege presentava un problema. Frege aveva sostenuto che ogni funzione avesse un decorso dei valori, ossia l’insieme dei numeri che, sostituti alla parte indeterminata della funzione, rendeva la funzione vera. Secondo Frege, per ogni funzione esisteva un decorso dei valori. https://imgur.com/eKKXdlN Ma Russell dimostrò che questo non è vero. Infatti se prendo la funzione: “x è il decorso dei valori che non appartiene a se stesso” non riesco a trovare un decorso dei valori che la soddisfa ma si genera sempre una contraddizione. f(x) = “x è il decorso dei valori che non appartiene a se stesso”. Essendo una funzione, ha un proprio decorso dei valori che io posso sostituire alla x. Se sostituisco alla x il decorso dei valori di f(x) avrò un decorso dei valori che appartiene a sé stesso quindi soddisfa la proprietà di non appartenere a se stesso e di conseguenza non appartiene a se stesso.
-Questa è la prima contraddizione: il decorso dei valori appartiene a se stesso e quindi non appartiene a se stesso. Invece, se sostituisco alla x un altro decorso dei valori, avrò un decorso dei valori che non appartiene a se stesso e che quindi non soddisfa la proprietà di non appartenere a se stesso. Di conseguenza deve appartenere a se stesso.
-Questa è la seconda contraddizione: il decorso dei valori non appartiene a se stesso quindi appartiene a se stesso. Qualsiasi decorso dei valori sostituisco alla x della funzione, avrò sempre una contraddizione.
Risulta pertanto sbagliato affermare che ogni funzione ha un decorso dei valori che rende la funzione vera.
Il 16 giugno 1902 Russell scrive a Fregehttps://image.slidesharecdn.com/russellautobiognafiaintellettuale1-140907050357-phpapp01/95/russell-autobiognafia-intellettuale-1-42-638.jpg?cb=1410066451:
Caro collega,
Da un anno e mezzo sono venuto a conoscenza dei suoi Grundgesetze der Arithmetik, ma solo ora mi è stato possibile trovare il tempo per uno studio completo dell’opera come avevo intenzione di fare. Mi trovo completamente d’accordo con lei su tutti i punti essenziali, in modo particolare col suo rifiuto di ogni elemento psicologico nella logica e col fatto di attribuire un grande valore all’ideografia per quel che riguarda i fondamenti della matematica e della logica formale, che, per inciso, si distinguono difficilmente tra loro. Riguardo a molti problemi particolari trovo nella sua opera discussioni, distinzioni e definizioni che si cercano invano nelle opere di altri logici. Specialmente per quel che riguarda le funzioni (cap. 9 del suo Begriffsschrift), sono giunto per mio conto a concezioni identiche, perfino nei dettagli. C’è solo un punto in cui ho trovato una difficolta. Lei afferma (p. 17) che anche una funzione può comportarsi come l’elemento indeterminato. Questo è ciò che io credevo prima, ma ora tale opinione mi pare dubbia a causa della seguente contraddizione. Sia "w" il predicato «essere un predicato che non può predicarsi di se stesso». "w" può essere predicato di se stesso? Da ciascuna risposta segue l’opposto. Quindi dobbiamo concludere che "w" non è un predicato. Analogamente non esiste alcuna classe (concepita come totalità) formata da quelle classi che, pensate ognuna come totalità, non appartengono a se stesse. Concludo da questo che in certe situazioni una collezione definibile non costituisce una totalità.
Sto finendo un libro sui principi della matematica e in esso vorrei discutere la sua opera in tutti i dettagli.
Ho già i suoi libri o li acquisterò presto, ma Le sarei molto grato se mi potesse inviare gli estratti degli articoli usciti su riviste. Nel caso non sia possibile, comunque, potrò averli da una biblioteca. La trattazione rigorosa della logica nelle questioni fondamentali, dove i simboli non sono sufficienti, è rimasta molto indietro; nella sua opera ho trovato la migliore elaborazione del nostro tempo, e mi sono quindi permesso di esprimerle il mio profondo rispetto. Sono spiacente che Lei non abbia ancora pubblicato il secondo volume dei suoi Grundgesetze: spero tuttavia che ciò avvenga.
Molto rispettosamente suo
Bertrand Russell
A stretto giro di posta Frege rispose il 22 giugno 1902:
Caro collega, molte grazie per la sua interessante lettera del 16 giugno. Mi compiaccio che lei concordi con me su molti punti. La sua scoperta della contraddizione mi ha causato la massima sorpresa e, direi quasi, costernazione, perché ha scosso le basi sulle quali intendevo costruire l'aritmetica. Il secondo volume dei miei Principi sta per uscire. Dovrò certamente aggiungere un'appendice che tenga conto della sua scoperta. Se solo sapessi come!
Frege si rese presto conto che il paradosso individuato da Russell minava non solo la sua opera ma tutto il programma filosofico del logicismo. Quello che Russell aveva individuato non era un semplice paradosso relativo all'insieme dei numeri ordinali come individuato da Cesare Burali-Forti nel 1897, ma è un paradosso assai più significativo che riguarda tutta la la logica e in modo più apio lo stesso pensiero umano. In proposito poco dopo Frege scrisse:
Gottlob Frege
A uno scrittore di scienza ben poco può giungere più sgradito del fatto che, dopo aver completato un lavoro, venga scosso uno dei fondamenti della sua costruzione. Sono stato messo in questa situazione da una lettera del signor Bertrand Russell, quando la stampa di questo volume stava per essere finita. [...] Ma veniamo al fatto! Il signor Russell ha scoperto una contraddizione che ora esporrò.
Nessuno vorrà asserire, della classe degli uomini, che essa è un uomo. Abbiamo qui una classe che non appartiene a se stessa. Dico infatti che qualcosa appartiene a una classe se questo qualcosa cade sotto un concetto, la cui estensione è proprio la classe stessa. Fissiamo ora il concetto: classe che non appartiene a se stessa! L’estensione di questo concetto, ammesso che se ne possa parlare, è, per quanto detto, la classe delle classi che non appartengono a se stesse. Vogliamo chiamarla brevemente la classe K. Chiediamoci ora se questa classe K appartenga a se stessa! Supponiamo in primo luogo che essa appartenga a se stessa. Se qualcosa appartiene a una classe, cade sotto il concetto la cui estensione è la classe in esame, di conseguenza, se la nostra classe appartiene a se stessa, allora è una classe che non appartiene a se stessa. La nostra prima supposizione conduce quindi a una contraddizione. Supponiamo, in secondo luogo, che la nostra classe K non appartenga a se stessa: in questo caso essa cade sotto il concetto di cui essa stessa rappresenta l’estensione, quindi appartiene a se stessa: qui di nuovo abbiamo una contraddizione!
Vediamo il nucleo del problema. Supponiamo che valga il principio di comprensione. Allora ogni proprietà determina un insieme costituito da tutti e soli gli oggetti che godono di quella proprietà. Applichiamo ora il principio di comprensione all'universo degli insiemi e consideriamo la seguente proprietà:
Non appartenere a se stessi
Chiamiamo questa proprietà la proprietà di Russell. Un insieme godrà della proprietà di Russell quando non si appartiene, viceversa non godrà della proprietà di Russell quando si appartiene. Per esempio l'insieme degli alberi gode della proprietà di Russell perché non è un albero e pertanto non si appartiene https://1.bp.blogspot.com/-ApfNcmVGQn8/XAAtT5FxKiI/AAAAAAAAEac/GD6ffX6trWYlZjBOH_ozWqclLWtfYpYfwCPcBGAYYCw/s1600/027D914E-08DA-4AA7-9C09-DF8D6D454CA6.jpeg, invece l'insieme degli insiemi non gode della proprietà di Russell perché è un insieme e pertanto si appartiene https://www.impariamoinsieme.com/wp-content/uploads/2015/09/268.png. In virtù del principio di comprensione la proprietà di Russell dovrebbe determinare un insieme di insiemi che contiene tutti e soli gli insiemi che godono della proprietà di Russell. Chiamiamo R "rasselliano" tale insieme e poniamoci la domanda
R si appartiene?
per definizione di R deve valere:
R appartiene a R se e solo se R gode della proprietà di Russel
pertanto per definizione della proprietà di Russell
R appartiene a R se è solo se R non appartiene a R
e questa è una contraddizione.
https://www.moduscc.it/wp-content/uploads/2015/09/Senza-nome20150925063035.png
Cerchiamo di riformulare il problema all’interno del linguaggio ordinario per fare ciò riportiamo una versione di tale paradosso fornita da Roger Penrose egli:
immaginiamo di essere in una biblioteca in cui ci siano due cataloghi https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/3/3b/SML-Card-Catalog.jpg: uno elenca tutti i libri che contengono almeno un riferimento a se stessi e l’altro tutti i libri della biblioteca che non contengono alcun riferimento a se stessi. In quale catalogo dovrà essere elencato il secondo catalogo? (Penrose, La mente nuova dell’Imperatore)
Non avendo alcun riferimento nel secondo cioè in se stesso, ma così né avrebbe, dunque nel primo, ma così perde la sua proprietà di non avere riferimento e così via.....
Nel 1908 Kurt Grelling formulò il paradosso in altro modo nel quale fu eliminato ogni riferimento alla teoria degli insiemi. Così come gli insiemi si dividono tra quelli che appartengono a se stessi e quelli che non appartengono a se stessi (l'insieme universo appartiene a se stesso in quanto contiene tutti gli insiemi esistenti dunque anche se stesso, mentre l'insieme delle tazzine da caffè non si appartiene perchè esso non è una tazzina da caffé), ciò vale anche per gli aggettivi che si dividono in:
Aggettivi AUTOLOGICI, ovvero che godono della proprietà che esprimono ad esempio la parola CORTO che effettivamente è una parola corta
Aggettivi ETEROLOGICI, ovvero che non godono della proprietà che esprimono ad esempio la parola LUNGO che è una parola corta
https://files.liveworksheets.com/def_files/2020/5/6/5061440145934/5061440145934001.jpg
Chiamiamo autologico un aggettivo se ha la proprietà da esso stesso descritta ed eterologico se non la ha. Ad esempio corto e autologico mentre lungo è eterologico. Allora l'aggettivo eterologico è autologico o eterologico?
Come i pitagorici quando si trovarono di fronte agli incommensurabili, Frege cercò rifugio nella geometria e mostrò di ritenere che tutto il lavoro da lui compiuto fino a quel momento fosse stato male indirizzato. Per parte mia, sentivo che il difetto risiedeva nella logica piuttosto che nella matematica e che era la logica che occorreva riformare. Ebbi una conferma di questa ipotesi quando scoprii una ricetta per mezzo della quale era possibile superare un numero praticamente infinito di contraddizioni. (Russell, La mia vita in filosofia)
Dallo studio del paradosso delle classi lo stesso Russell comprese che quello che egli aveva scoperto non era un nuovo paradosso o un paradosso particolare della matematica, ma una difficoltà vera e proprio insita ad una molteplicità di linguaggi (potremmo dire a tutti i linguaggi e in tutti gli ambiti). Il paradosso risultava essere affine con l'antica contraddizione greca di Epimenide il cretese il quale affermava che tutti i Cretesi erano bugiardi. https://slidetodoc.com/presentation_image/5db608299df1c117a8d19b6d9d51f674/image-46.jpg Così come l'affermazione di Ebulide di Megara "io mento". Ancora se io prendo un foglio di carta in cui vi sia scritto: "l'affermazione sull'altra faccia di questo foglio è falsa" - la persona gira il foglio e vi legge - l'affermazione sull'altra faccia di questo foglio è vera. Ancora il paradosso del coccodrillo degli stoici. Ed ancora lo otteniamo quando formuliamo un periodo come quello che segue: Platone afferma che Socrate dice il falso, Socrate afferma di seguito che Platone dice il vero. E così via in un eterno circolo vizioso. Al termine della sua opera nel 1903 Russell scriveva:
La totalità di tutti gli oggetti logici di tutti gli enunciati, implica, a quel che sembra, una difficoltà logica fondamentale. Quale possa essere la soluzione completa della difficoltà, non sono riuscito a capirlo; ma poiché essa riguarda le fondamenta stesse del ragionare, ne raccomando seriamente l'esame all'attenzione di tutti gli studiosi della logica. (Russell, I principi della matematica)
Tale paradosso è anche all’origine delle patologie della comunicazione (si veda la pagina di approfondimento su Bateson), infatti Gregory Bateson si accorse che le confusioni fra le classi della logica sono un problema che riguarda non solo gli scienziati che cercano di spiegare i fenomeni della vita, ma che tali paradossi sono all'ordine del giorno proprio nella vita quotidiana degli uomini e perfino di tutti i sistemi viventi naturali. Nella comunicazione interpersonale vengono comunemente scambiati messaggi che appartengono a tipi logici diversi. https://danieledemarchi.it/wp-content/uploads/2018/03/metacomunicazione.jpg
In modo particolare nelle situazioni complementari dove gli interlocutori si trovano uno in una posizione di superiorità e uno di inferiorità, e dove il secondo non ha la possibilità di abbandonare il contesto si genera quello che Bateson battezzò come patologia del doppio legame, double bind.
Si pensi alla relazione insegnate-alunno, dove l’insegnante risiede in una posizione di superiorità e l’alunno in una di inferiorità, e all’esempio classico in cui il docente “ordina” all’alunno di esprimere liberamente le sue idee…se esprime le sue idee a comando non saranno più libere espressioni come richiesto dal docente se non lo farà avrà comunque disatteso alla richiesta, o un familiare che rimprovera un figlio affermando "qualsiasi cosa fai sbagli" https://4.bp.blogspot.com/-t5mEjd5MhjU/Vu6ECoqnI_I/AAAAAAAAWgM/BGNFZaA6_pwu8s9iwH1mdImeFrPIUcgLQ/s1600/come-fai-sbagli-cast.png. Si tratta cioè di paradossi che intrappolano, togliendo la possibilità di intraprendere un’azione “vincente”. La vittima sbaglia se obbedisce e sbaglia se disobbedisce, o addirittura non può obbedire, e finisce per subire comunque conseguenze negative.
double bind = una situazione paradossale in cui al soggetto che si trova in una situazione one down non viene data la possibilità di una scelta positiva qualsiasi opzione è negativa e genera una paralisi |
Queste situazioni danno origine a situazioni patologiche che se prolungate possono portare ad un vero e proprio disagio. Bateson ricondusse alcune forme di schizofrenia al doppio legame, o doppio vincolo, che si crea nella relazione madre-figlio: quando la situazione di doppio legame pervade la quotidianità e determina la percezione del mondo il soggetto diviene incapace di discriminare tra i diversi tipi logici.