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   Il secondo Wittgenstein https://slideplayer.it/10164727/33/images/slide_1.jpg

Dopo aver frequentato il circolo di Vienna Wittgenstein mutò progressivamente alcune delle sue posizioni soprattutto l’idea che fosse possibile determinare con precisione gli elementi semplici del linguaggio. Il sodalizio con il circolo di Vienna https://screpmagazine.com/wp-content/uploads/2019/08/IlCircolodiViennaHansHahnRudolfCarnap.jpg era durato ben poco: se da un lato Wittgenstein non era soddisfatto dell’interpretazione che il Circolo aveva fatto della sua opera, dall’altro gli stessi frequentatori del circolo erano rimasti delusi dell’atteggiamento misticheggiante delle riflessioni di Wittgenstein, che come ricordato da Russell aveva un modo di esprimersi oracolare e aristocratico. https://www.latigredicarta.it/wp-content/uploads/2018/08/Ritratto-di-Ludwig-Wittgenstein.-Foto-di-Moritz-N%C3%A4hr-1930-%C3%96sterreichische-Nationalbibliothek-1.jpg

Vale la pena ricordare anche che le tesi di Wittgenstein erano state fortemente criticate da Frank Ramsey https://alpha.aeon.co/images/ea9384f2-96b3-4948-b9db-3196fb3fc29b/header_essay-frank_final_b_w.jpg, che riteneva che il vero significato delle proposizioni non era legato solo alla relazione tra le espressioni e gli oggetti indicati, ma anche dall’insieme di credenze che gli individui assegnano a tali proposizioni, ovvero all’uso che ne fanno.

Abbiamo poi già ricordato, parlando della vita del filosofo, del dialogo avuto con l’amico economista Pietro Straffa https://www.raiplaysound.it/cropgd/1200x630/dl/img/2020/08/04/1596525461672_piero%20sraffa.jpg, che lo aveva invitato a dar ragione della forma logica del linguaggio gestuale che non trovava spazio nel Tractatus. https://www.azione.ch/uploads/pics/vassere_online_02.jpg

Proprio dal tentativo di rispondere a queste osservazioni prende avvio il cosiddetto secondo Wittgenstein, che in parte prende le distanze dal Tractatus.

Wittgenstein si concentra sull’analisi delle funzioni diverse che il linguaggio svolge in contesti differenti in relazione ai suoi usi e alle sue finalità https://www.lospaziodirosanna.it/assets/img/funzioni-lingua/scheda-2.jpg, in questa prospettiva acquista maggiore importanza il linguaggio ordinario o quotidiano che Frege, Russell e i neopositivisti avevano lasciato in secondo piano rispetto ai linguaggi formali della scienza. In proposito, per sottolineare questo aspetto, Wittgenstein nel 1930 scrive:

Come sarebbe strano se la logica si dovesse occupare di un linguaggio ideale e non del nostro. Che cosa dovrebbe esprimere infatti quel linguaggio ideale?  Di certo quello che ora esprimiamo nel nostro linguaggio abituale; ma allora la logica non può che occuparsi di questo. Oppure di qualcos’altro, ma come posso semplicemente sapere di cosa può trattarsi? L’analisi logica e l’analisi di qualcosa che abbiamo, non di qualcosa che non abbiamo. Sarà dunque l’analisi delle proposizioni come sono. (Wittgenstein, Osservazioni filosofiche)

La filosofia diviene così analisi del linguaggio comune senza il bisogno di ridurre tutte le forme del linguaggio un unico genere (quello logico-ideale). Non è più prioritario stabilire le condizioni di verità o di falsità, privilegiando un modello linguistico ideale, quanto piuttosto sviluppare un’analisi del linguaggio come attività https://previews.123rf.com/images/michaeldb/michaeldb1009/michaeldb100900032/7897945-collegare-due-attivit%C3%A0-persone-parlare-comunicare-in-fumetti-a-distanza.jpg concreta in relazione agli usi effettivi, in questa prospettiva il significato del linguaggio è dato dalle modalità e dagli scopi con cui viene utilizzato.

A questa attività Wittgenstein ha dato il nome di giuochi linguistici https://wips.plug.it/cips/supereva/cms/2017/01/img_2582285820331222.jpg, espressione con la quale intendeva sottolineare il carattere sociale e artificiale dell’agire linguistico ovvero un prodotto culturale dell’uomo che tuttavia osserva determinate regole in base ai fini che si intende raggiungere.

Ma quanti tipi di proposizioni ci sono? Per esempio: asserzioni, domande, ordini? Di tali tipi ne esistono innumerevoli: innumerevoli tipi differenti di impiego di tutto ciò che chiamiamo “segni”, “parole”, “proposizioni”. E questa molteplicità non è qualcosa di fisso, di dato una volta per tutte; ma nuovi tipi di linguaggio, nuovi giuochi linguistici, come potremmo dire, sorgono e altri invecchiano e vengono dimenticati. (Wittgenstein, Ricerche  filosofiche)

I giochi linguistici tendono a trovare la loro funzione all’interno di quella che Wittgenstein chiama una forma di vita ovvero l’insieme delle regole che delimitano ciò che consideriamo dotato di senso. Con l’espressione “forma di vita” Wittgenstein intende la totalità delle pratiche di una comunità linguistica e la stretta connessione esistente tra l’uso di espressioni linguistiche e modi di fare. https://c8.alamy.com/compit/e7xgkw/cartoon-illustrazione-del-triangolo-divertente-circle-e-square-forme-geometriche-di-base-a-parlare-e7xgkw.jpg  Questa relazione è talmente sedimentata e appare così naturale agli individui da non essere mai oggetto di riflessione. In questa prospettiva, il linguaggio appare come una vecchia città: https://www.tecnologiaduepuntozero.it/wp-content/uploads/2019/05/Anghiari-1024x681.jpg un dedalo di stradine e di piazze, di case vecchie e nuove, aggiunte in tempi diversi e il tutto circondato da una rete di nuovi sobborghi con strade diritte e case uniformi: chi ci abita riesce a muoversi senza difficoltà, quasi senza pensarci, lo straniero invece no.

In questo modo tutte le proposizioni ritenute senza senso nel Tractatus, come ad esempio quelle morali, sono riprese in considerazione in quanto parte di un gioco che ha proprie regole differenti da quelle delle scienze e della matematica. In questa ottica tutti i giochi linguistici hanno un proprio diritto all’esistenza purché le regole stabilite vengano rispettate. https://spazioinwind.libero.it/valmax/immagini/maxiparo.jpg  In conclusione per comprendere il linguaggio in tutta la sua pienezza occorre costruire un modello che chiarisca il gioco che si sviluppa nel linguaggio stesso, mettendo in evidenza le regole d’uso. L’attività del filosofo consiste nell’eliminare i fraintendimenti che nel linguaggio naturale vengono introdotti da un uso scorretto delle regole del gioco che sono fissate dall’uso corrente.

Fare una comunicazione, dare o comprendere un ordine, e simili, non sono cose che possono essere state fatte una sola volta. Seguire una regola, fare una comunicazione, dare un ordine, giocare una partita a scacchi sono abitudini (usi, istituzioni) […] Seguire una regola è analogo a: obbedire ad un comando. Si viene addestrati a obbedire al comando e si reagisce ad esso in una maniera determinata. Per questo seguire una regola è una prassi. (Wittgenstein, Ricerche  filosofiche)

La filosofia quindi non può in alcun modo interferire con l’uso effettivo del linguaggio ma può solo descriverlo, può individuare a quale giuoco stiamo giocando. https://cinofilamendrisio.ch/wp-content/uploads/2018/05/img_articologioco3.jpg Questo nuovo modo di intendere il linguaggio fa sì che non è più pensabile che la conoscenza possa consistere nella conoscenza di oggetti o di rapporti tra oggetti, infatti, è il linguaggio nel suo rapporto con le forme di vita che costituisce la possibilità per gli oggetti stessi di esistere come tali. È il linguaggio che permette di definire i criteri con i quali noi stabiliamo se ciò che è possibile sia anche effettuale, dunque non più una teoria del rispecchiamento come esposta nel Tractatus quanto piuttosto una pratica del vedere-come.

Per spiegare questo concetto di vedere-come Wittgenstein utilizza nelle Ricerche filosofiche una figura ambigua che può essere vista come un’anatra o come una lepre. Se osserviamo questa figura a secondo che vediamo-come orecchie o vediamo-come becco parte del disegno cambia il nostro modo di percepire l’immagine, ma non è la percezione a cambiare quanto piuttosto il modo di vedere relazioni.

Wittgenstein fa notare che chi vede per la prima volta la lepre nel disegno non dirà vedo questa immagine come una lepre, ma dirà vedo una lepre poiché l’utilizzo del “come” comporta la consapevolezza di più opzioni quindi solo chi ha già visto entrambe le figure può dire di volta in volta ora vedo l’immagine come una lepre, ora la vedo come un’anatra.

La possibilità di vedere entrambe le figure precede l’interpretazione della figura: solo chi può vederle entrambe può scegliere di interpretare l’immagine come un’anatra o come una lepre.

https://avalon.fabiosacdn.com/image/cdd5392c-2759-4699-9411-d4e2a2903d34.jpg

Questa possibilità di vedere l’immagine in un modo piuttosto che in un altro è qualcosa che sta a metà tra il vedere e il pensare, per questo non dipende esclusivamente dalla percezione e per questo la teoria del rispecchiamento a sua volta non è sufficiente. Non esistono quindi enti oggettivi da descrivere con il linguaggio ideale della scienza quanto piuttosto una pluralità di sensi che dipendono dagli usi, dai contesti e dalle regole del gioco. Queste regole non possono essere stabilite dalla filosofia. Quale può essere allora il ruolo della filosofia?

Wittgenstein ha definito la filosofia sia come trappola https://www.umbriaon.it/2015/wp-content/uploads/2020/07/trappola-collestatte-forestale2.jpg  che come terapia https://static.ohga.it/wp-content/uploads/sites/24/2020/09/Terapia-EMDR.jpg  rispetto all’uso del linguaggio. La filosofia è trappola nel momento in cui il filosofo cade in qualche fraintendimento metafisico come per esempio quando si interroga sull’uso delle parole io, essere anima estendendone l’ambito di utilizzo e generando trappole da cui non si riesce ad uscirne. La filosofia ha però anche una funzione terapeutica: ha il compito di indicarci quelli che sono i non sensi, le confusioni linguistiche prodotte dalla stessa riflessione filosofica, per così dire cura il linguaggio dalle malattie che derivano dai suoi usi metafisici.

Questa riflessione porta Wittgenstein ad affermare che non esistono problemi autenticamente filosofici, https://bbteam.com/wp-content/uploads/2015/08/No-problem.jpg  ma solo perplessità linguistiche: ciò che di solito viene definito un problema filosofico non sarebbe altro che una questione di ambiguità o scarsa chiarezza del linguaggio.

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